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Dibattito tra Christopher Alexander e Peter Eisenman




Contrasti sul concetto di armonia in architettura (Novembre 1982)

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Peter Eisenman: Ritengo che sarebbe molto ingenuo da parte mia credere che, grazie alla presenza di Chris Alexander, sia possibile, in questa sede dare vita ad un qualche cosa che vada al di là della semplice rappresentazione. Nel lontano 1959, lavoravo a Cambridge negli U.S.A. per Ben Thompson e per il TAC. Credo che a quell'epoca Alexander fosse ad Harvard. Io poi mi sono trasferito a Cambridge in Inghilterra, ignorando ancora una volta il fatto che egli fosse qui: Alexander aveva studiato matematica in questa università, e in seguito si era dedicato alle questioni di architettura. Io invece ero a Cambridge per il semplice motivo che Michael McKinnel aveva detto che il mio bagaglio nozionistico lasciava a desiderare e che avrei dovuto recarmi in Gran Bretagna per cercare di diventare più intelligente.



Christopher Alexander: Sono lieto che tu abbia voluto diligentemente fornire tutte queste informazioni. Questo permette di chiarire le cose.



(Risata)



P.E.: Comunque, Sandy Wilson, che era allora mio collega alla facoltà Cambridge ed è attualmente professore alla scuola di architettura, sempre Cambridge, mi fece avere un manoscritto che, diceva, avrei dovuto leggere. Si trattava della tesi di dottorato di Alexander, che più tardi sarebbe diventata il testo della sua prima pubblicazione con il titolo Note sulla sintesi della forma. Il manoscritto provocò in me una tale irritazione, che per reazione mi sentii in obbligo di scrivere anch'io una tesi di dottorato cui fu dato il titolo di La base formale dell'architettura moderna che tentava dialetticamente di contrapporsi alle ipotesi sostenute nel suo volume. Alexander riuscì a pubblicare la sua opera: la mia tesi era così primitiva che non mi venne neanche in mente di poterla dare alle stampe. Ad ogni modo, avevo pensato che oggi avremmo potuto occuparci di alcuni dei problemi sollevati in me dal suo libro. Ma poi ho ascoltato registrazione della sua conferenza la scorsa sera, e mi sono ritrovato in situazione simile a quella di allora. Christopher Alexander, che non è quel terribile uomo che io pensavo fosse - sembra infatti un individuo molto gradevole -, ripropone ancora una volta delle ipotesi che sento la necessità di contestare. E poiché non avevo mai conosciuto Alexander prima di adesso, le mie critiche non possono essere personali, ma riguardano in qualche modo solo le sue idee.

Chris, tu hai detto che abbiamo bisogno di modificare la nostra cosmologia, dal momento che si tratta di una cosmologia ricavata dalIa fisica e dalle scienze esatte del nostro passato e quindi appare ormai vecchia di 300 anni circa. Con tutta probabilità questa affermazione mi trova d'accordo. E hai anche detto che solo certi tipi di organizzazione logica possono essere compresi, a partire da una cosmologia siffatta non credi comunque che l'attività degli strutturalisti francesi costituisca il tentativo di scoprire l'ordine delle cose in contrapposizione alla logica meccanicistica, l'antologia delle cose contrapposta alla epistemologia stesse, quindi in pratica la loro struttura? Questo tipo di ricerca filosofica ha avuto un preciso ruolo nello sviluppo del pensiero francese degli ultimi vent'anni. Non pensi che si tratti di un qualche cosa simile a ciò di cui tu vai parlando?



C.A.: Non conosco le persone di cui parli.



P.E.: Parlo di gente come Roland Barthes, Michel Foucault, Jacques Derida..



C.A.: Che cosa dicono?



P.E.: Dicono che esistono strutture, in oggetti come le sinfonie mozartiane o in brani di letteratura, e che ci è permesso andare al di la delle funzioni di una sinfonia o di un testo letterario per fornire una storia della conoscenza, che è lecito procedere al di là di esse per descrivere la struttura innata di questi oggetti. E che tale strutturazione ha ben poco a che vedere con le organizzazioni gerarchiche, meccanicistiche e deterministiche degli ultimi 300 anni: essa si basa invece su un sistema di valori alternativi dell'Occidente, derivati dalla metafisica. Questo tipo di organizzazione non costituisce tanto una ipotesi contrapposta quanto un modo alternativo di considerare le cose, e tende a suggerire che le strutture in natura non sono dialettiche ma che invece sono composte da differenze interne.

Ero molto d'accordo con le cose da te dette nel corso della tua conferenza: e sarei persino lieto di pensare che nel corso degli ultimi 10 o 15 anni della mia vita mi sono impegnato ad un identico genere di lavoro. Il mio saggio post-funzionalista pubblicato in Oppositions 6 proponeva un altro aspetto dell'architettura, estraneo a ogni considerazione funzionale.



C.A.: Non sono ben certo di capire dove tu intenda andare a parare. Vediamo se ho capito giusto. Una persona della nostra facoltà, io credo, avrebbe probabilmente esposto il tuo punto di vista in un certo modo: il suo atteggiamento mentale riflette quello di una intera scuola di pensiero che è venuta sviluppandosi - e che crudamente è stata denominata postmodernismo o qualcosa del genere. Esiste comunque una corrente di pensiero, un serio gruppo di teorici che ha incominciato a parlare della architettura in un modo completamente nuovo, almeno negli ultimi dieci anni. Questo membro di facoltà, si rivolge a me e ogni tanto mi dice una frase del genere: "in fondo, Chris, dicono le stesse cose che dici tu. Perché mai dovresti condurre il tuo cavallo come se tu fossi un messaggero solitario, quando in pratica ognuno parla della stessa identica cosa? "

Ma le affermazioni dei post-modernisti o degli strutturalisti non corrispondono affatto alle dichiarazioni da me fatte l'altra sera. D'altronde, ritengo che esistano persone molto serie che desiderano organizzare tutti gli altri a partire dalle loro ipotesi preferite concernenti l'architettura. Ma le parole hanno scarso peso ed è possibile prendere parte a dibattiti intellettuali collocandosi a destra, a sinistra, al centro muovendosi indifferentemente in una direzione o in un'altra. E se io osservo quegli edifici che sembrano avere origine da punti di vista simili a quelli che io ho espresso, la cosa più evidente che balza agli occhi è che qualunque siano i discorsi - tutte le ipotesi intellettuali che stanno dietro a questa roba - gli edifici reali sono completamente diversi, in realtà, io non so di che cosa tratti concretamente una determinata opera, ma so tuttavia molto bene che non si occupa di sensazioni. Ed in questa direzione tutte quelle costruzioni sono assai vicine a quella serie alienata di architetture che le hanno precedute fin dal 1930. E mi rendo anche conto di una cosa: innanzitutto, della presenza di un linguaggio nuovo e creativo, poi di un vago riferimento alla storia dell'architettura trasformata con abili accorgimenti e da un manierismo discreto, in questo modo i giochi degli strutturalisti e quelli degli architetti post-moderni diventano, a mio parere, nient'altro che intellettualismi che poco hanno a che vedere con i nuclei autentici dell'architettura. Questa dipende, come sempre dalle sensazioni.



P.E.: Ecco, torniamo un attimo indietro. Comunque non è mia intenzione fare sì che il dibattito si polarizzi fra il noioso intellettuale della costa occidentale ed il gaudente giovanotto californiano. Ma non puoi comunque chiedere alla gente, come è successo l'altra sera, di credere in te solo perché hai alle spalle 25 anni di lavoro intellettuale - che io ho seguito attentamente e che si configura come altamente intellettuale - e poi sostenere di essere un mago californiano. Questo per prima cosa, in secondo luogo il fatto che tu sostenga di ignorare quelle idee di uso corrente, non fa certo di me un intellettuale e dite un non-intellettuale, o viceversa; significa solo che a me interessa la mia cosmologia e che a te sta a cuore la tua. Comunque può darsi che io non sarò mai in grado di provare quel tipo di sensazioni che tu provi, e viceversa. Ciascuno di noi vive con la propria tirannia degli opposti. Ma lasciamo perdere.



C.A.: Beh, andiamo avanti. Diciamo che è stato un primo round di ottimo livello.



P.E.: Vorrei allora uscire dal ring e tentare di nuovo. Mi sono messo dalla parte sbagliata, sono diventato il leone e tu il cristiano, anche se ho sempre desiderato essere un cristiano.



C.A. Sono costretto ad apprezzare lo stile affascinante con il quale stai risistemando le cose. Comunque, riferendomi a quanto hai detto un minuto fa, tutta quella faccenda dei tipi sensitivi e di quelli razionali, non mi sembra il caso di discuterne. In effetti, non posso immaginarmi un qualsiasi adeguato atteggiamento progettuale, da parte di un artista o di un costruttore, o comunque sia, che alla fin fine non si confronti con il fatto che il costruire appartiene al regno della sensazione. Così quando dici: "Guarda, tu sei un determinato tipo, e io sono quest'altro tipo, e mettiamoci d'accordo sul non affrontare questo argomento", che cosa vuol dire? Vuol forse significare che tu credi che quel tipo di sensazione non ha niente a che fare con il costruire? Forse potresti rispondere a questo.



P.E.: Certo, se tu sei un tipo sensitivo, penserai che le sensazioni siano l'essenza della questione, e non posso comunque fare a meno di pensare, dato che sono un tipo portato al pensiero, che le idee stanno alla base di tutta la faccenda. Si tratta di un qualche cosa dal quale non riesco a prendere le distanze.



C.A.: Capisco perfettamente che quello che dici riguarda te, e mi sento a mio agio in una dimensione di rispetto interpersonale, tenuto conto dei nostri diversi atteggiamenti e così via. Ma il guaio è che ci troviamo anche a parlare di un argomento che io ritengo, intellettualmente, essere il nodo centrale. Non quindi dal punto di vista della sensazione, ma da quello intellettuale. E comunque estremamente difficile per me stare alla larga da questo tema, anche perché se non ne parlo con te in termini un poco approfonditi, non riuscirò mai a capire di che cosa tu stia parlando. Così, se solo me lo permetti, vorrei approfondire l'argomento e vedere a cosa si arriva. Proprio per questo motivo vorrei fare una prova su edifici, su esempi concreti. Ora, prendiamo una architettura, prendiamo ad esempio Chartres. E probabile che siamo tutti e due d'accordo che si tratti di una grande costruzione.



P.E.: In realtà non lo siamo, per me si tratta di una architettura molto noiosa. Chartres a mio parere rappresenta una delle cattedrali meno interessanti. Sono andato a Chartres parecchie volte, a mangiare nei ristoranti posti lungo la strada. La cattedrale l'abbiamo vista en passant, e poi una volta che hai visto una cattedrale gotica le hai viste tutte.



C.A.: Scegli allora una costruzione che ti piace, scegline un'altra.



P.E.: Palazzo Chiericati di Palladio andrebbe a proposito proprio perché è più intellettuale e meno emotivo. Provoca sensazioni eccitanti nella mente, non nella pancia. Sono in genere diffidente rispetto agli oggetti che provocano particolari sensazioni nella pancia. Questo comunque è un mio problema. Mi trovo più a mio agio con la mente. Mies e Palladio sarebbero stati esempi molto interessanti. E secondo me molte delle cose che si trovano in Palladio - secondo un concetto di contaminazione totale - sono presenti anche in Mies.

Ma io sono anche interessato agli argomenti che hai presentato nella tua conferenza e nel secondo dei punti, quello riferito all'alternanza contrapposta alla semplice ripetizione. Tu hai detto qualche cosa circa il significato degli spazi ripetuti fra i diversi elementi. Non solo gli elementi vengono ripetuti, ma anche gli spazi: qui è dove possiamo trovare un accordo. Ora lo_spazio_intermedio non fa parte di una unità classica, di un intero, di una entità compiuta: appartiene ad un'altra tipologia. Non rientra in una categoria di identità o di completezza: appartiene viceversa ad una tipologia delle differenze. E una tipologia che trasgredisce la totalità e la contamina. Se tu dici A/B, A/B, questa è una alternanza di interi situata fuori dai canoni classici, che tenderebbe a prendere A e B e a portarli entro una logica simmetrica - come in B/A/B/A/B. In altre parole ci sono tre B, di cui una al centro, e due A come corollari minori. Quando hai A/B/A/B hai delle coppie alternate senza centro alcuno, senza elementi terminali o gerarchia. A/B/A/B/A è completo, mentre A/BA /B non lo è. Ciò che è interessante nelle strutture seriali è lo spazio intermedio, non gli elementi di per sé, ma le differenze tra i due. Tu parlavi l'altra sera proprio di questo, quando citavi gli esempi di qua/che cosa che non riguardava per niente la totalità nel senso classico del termine. Forse potremmo trarre qualche vantaggio se affrontassimo più in profondità questo tema.



C.A.: Non riesco a seguire bene quello che stai dicendo. Non mi è mai capitato che qualcuno respingesse in termini così espliciti un tipo di esperienza come quella di Chartres. E in fondo avere una conversazione come questa è abbastanza interessante. Se non fossimo in pubblico, sarei tentato di affrontare l'argomento a livello psichiatrico. Guarda che non sto scherzando. Ciò che intendo dire è che capisco molto bene come la gente sia presa dal panico di fronte a questo tipo di sensazioni. In realtà, è una mia impressione che buona parte della storia della architettura moderna sia stata una specie di panica ritirata da questo tipo di sensazioni che hanno dominato il processo di formazione degli edifici durante gli ultimi 2000 anni circa. Perché mai si è realizzata questa panica ritirata, sto ancora cercando di scoprirlo. Non mi è per niente chiaro. Ma non mi è mai capitato di udire qualcuno dichiarare, almeno fino a pochi minuti fa, dichiarare in termini espliciti "sì, trovo quella roba sgradevole. Non mi piace di avere a che fare con le emozioni. Mi piace lavorare con le idee." Allora, tutto quello che viene dopo è molto chiaro: ti piacerebbe l'edificio di Palladio e non proveresti felicità particolare con Chartres, ecc, e Mies...



P.E.: La panica ritirata del sé alienato è stata trattata dal Moderno che si è occupato della alienazione del sé dalla dimensione collettiva.



C.A.: Per quanto penoso possa essere, adesso stiamo procedendo abbastanza bene. Non ci offendiamo l'un l'altro, e le cose stanno prendendo una buona piega. Mi sembra, dal momento che ci siamo invischiati in questo particolare tipo di discussione, che dovremmo rimanere legati ad essa.

Citerò un esempio, leggermente assurdo: un gruppo di studenti, sottoposti alla mia guida, stava progettando un gruppo di abitazioni per una dozzina di persone, e ogni studente si occupava di una delle abitazioni. Per accelerare il processo progettuale (avevamo solo poche settimane per portare a termine il progetto), dissi "dovremo concentrarci sul layout e sull'assemblaggio delle case, in modo che il sistema edilizio non sia più messo in discussione"

Così assegnai loro il sistema costruttivo, e capitò che venissero inseriti tetti a falde, tetti molto ripidi. La settimana successiva, dopo che la gente aveva osservato le annotazioni che avevo steso sul sistema edilizio, qualcuno alzò la mano e disse: "Senti, sappiamo benissimo che tutto sta procedendo per il meglio, ma non potremmo discutere della forma del tetto?". Allora risposi "Certo, che cosa vorresti discutere dei tetti?". E la persona rispose "potremmo cambiarli un poco?". Avevo detto a loro di fare dei tetti inclinati del tutto ordinari. Chiesi allora "Qual è il problema del tetto?". E la persona rispose "Ma, non saprei, ma ha un'aria buffa". La conversazione ebbe termine. Ma cinque minuti dopo qualcun altro alzò la mano e disse: "Guarda, va tutto bene con quel sistema costruttivo, ad eccezione del tetto. Non potremmo discuterne?". Dissi allora Qual è il problema del tetto?", questi rispose: Avevo discusso con mia moglie del tetto, e a lei il tetto piace" e poi incominciò a ridacchiare. Risposi "Che c'è di strano o di buffo?". E la risposta fu: "Bah, non saprei."

Per farla breve,



(Alexander si dirige alla lavagna e disegna diversi tipi di tetto)



ora, tutti voi che siete stati educati ai canoni dell'architettura moderna, sapete che per un rispettabile architetto degli anni '80, va benissimo fare questo, ma per cortesia



(indica il disegno di un tetto a falde)



questo non lo fate.



Così ci si domanda: perché mai? Perché debbono sussistere tabù di questo tipo? Cos 'è questa strana faccenda di dimostrare di essere un architetto moderno e di dover costruire qualche cosa di diverso da un tetto a falde? La spiegazione più semplice è che si devono fare tutte le altre cose per provare la propria appartenenza alla confraternita dell'architettura moderna. Così bisogna progettare qualcosa di incredibile, altrimenti la gente sarà costretta a pensare che sei un semplicione. Comunque non credo che la faccenda si chiuda qui: penso che la spiegazione più importante è che un tetto a falde contiene al suo interno un potere emotivo molto, molto primordiale. Non un tetto inclinato basso, un tetto di una casa da manuale, ma uno splendido tetto, splendidamente con formato, interamente a falde.

Quel tipo di tetto ha una sua identità derivata da una forma ancestrale, che riesce a raggiungere quella parte di noi che è più vulnerabile. Ma la formula che va per la maggiore entro la confraternita è quella ripulita da ogni possibilità emotiva: l'angolino fantastico, la farfalla, lo sconnesso capannone asimmetrico, ecc. - tutte quelle forme che appaiono interessanti ma che nell'insieme sono sprovviste di ogni capacità emotiva. Il tetto è solo un esempio particolare. Ma credo comunque che la storia della architettura delle ultime decadi sia stata una storia di ripetuti tentativi di evitare a qualsiasi costo ogni sensazione primordiale. E perché questo sia avvenuto, proprio non lo so.



P.E.: Si tratta di una coincidenza sorprendente, perché anch'io mi interesso alla questione del tetto. Lascia che affronti l'argomento in altri termini: secondo me i/tetto inclinato - secondo quanto sostiene Gaston Bachelard - è una delle caratteristiche essenziali della “idea di casa”. Questa era la estensione della struttura vertebrata che proteggeva e racchiudeva l'uomo. Michel Foucault ha detto che, quando l'uomo ha incominciato a studiare l'uomo nel XIX sec., c'è stato uno spostamento dell'uomo dal suo centro. La rappresentazione del fatto che l'uomo non fosse più il centro del mondo, che non ne fosse più l'arbitro, e che pertanto non fosse più in grado di controllare gli oggetti artificiali, si riflette in una modificazione da una struttura del tipo centrale-vertebrata ad una struttura centrale-vuota. Questa distanza, che si può chiamare alienazione o mancanza di sensazioni, può essere semplicemente il naturale prodotto di questa nuova cosmologia.

La struttura a-vertebrata costituisce il tentativo di esprimere questa trasformazione della cosmo/o gia. Tutto ciò non è solo un problema stilistico, o una questione che si contrappone al problema dei sentimenti. Quando l'uomo incominciò a studiare sé stesso, incominciò anche a perdere la sua posizione centrale. La perdita del centro è espressa da questa alienazione. Ciò che il modernismo ha tentato di spiegare con le sue forme è stato proprio quella alienazione. Ora che la tecnologia ha avuto uno sviluppo smisurato, è probabile che dobbiamo rivedere la cosmologia. E possibile ritornare ad una cosmologia dell'antropocentrismo? Non sono certo che questa operazione abbia senso oggi.



C.A.: Permetti che introduca un altro argomento. Quello che hai detto è molto interessante. Ma voglio solo chiarire questo: non voglio suggerire che sarebbe una buona idea ritornare romanticamente al passato e ripescare il tetto a falde, e dire: "Fatto un certo tipo di lavoro per un certo numero di anni, perché non ne teniamo conto, e lo usiamo nuovamente?". Sto parlando di un linguaggio completamente diverso da tutto ciò.

Penso che dovrò fornire una spiegazione molto più complessa. Fino al 1600 circa, la maggior parte delle visioni del mondo elaborate dalle diverse culture ponevano l'uomo e l'universo come due realtà interconnesse ed indivisibili... sia per mezzo di una entità chiamata Dio o di qualche altro strumento. Ma tutto questo era chiaro. Quel particolare tipo di gioco intellettuale che ci ha portato a scoprire le meraviglie della scienza ci ha costretto ad abbandonare temporaneamente quella idea. In altri termini, per poter fare della fisica, della biologia, ci è stato insegnato in realtà che le cose erano come delle piccole macchine perché solo in quel modo potevamo maneggiarle e scoprire le modalità del loro funzionamento. E fin qui tutto bene. E stato uno sforzo tremendo, che ha dato i suoi risultati.

Ma alla resa dei conti avrebbe potuto anche essere un errore. Cioè la costituzione dell'universo può essere tale che l'identità umana e la materia con la quale le cose sono fatte, la materia dello spazio o comunque la si voglia chiamare, sono molto più inestricabilmente collegate di quanto possiamo immaginare. Guarda, non sto parlando di nessun tipo di primitivismo aborigeno: sto dicendo che può anche essere effettivamente vero che quelle cose siano più collegate di quanto pensiamo. E che noi siamo stati abituati, troppo abituati, ad ingannarci da noi stessi negli ultimi 300 anni per poter scoprire certe cose. Ora se tutto ciò è vero - ci sono molte persone al mondo che incominciano a dichiararlo, senza alcun dubbio, nell'ambito della fisica e di altre scienze ad essa collegate - allora il mio contributo a quella linea di pensiero ha a che fare con quelle strutture di identità delle quali ti ho parlato.

In altre parole, il tipo di organizzazione che ho iniziato ad individuare l'altra sera è un tipo di ordine formato da centri o da interi che si rafforzano gli uni con gli altri e che si creano l'un l'altro, Ora se stanno effettivamente così, allora il tetto a falde entra in gioco solo come conseguenza di tutto questo - e non come precedente. Ne risulterebbe allora, in quelle circostanze dove un tetto va collocato su di un edificio, in assenza di altre forze possenti capaci di costringerti a fare qualcosa di diverso, che allora questo è il tetto più semplice e naturale che si possa disegnare. E allora quel tipo di organizzazione tenderebbe a riapparire - naturalmente, in uno stile completamente diverso, più tecnologico e moderno - semplicemente perché quella è la natura stessa dell'ordine, non a causa di un romantico ritorno agli anni del passato. Con tutta probabilità puoi capire tutto ciò.



P.E.: Ciò che non siamo ancora riusciti a definire è se sia possibile progettare una cosmologia totalmente diversa che tenga conto delle componenti emotive dell'identità. Visioni alternative del mondo potrebbero suggerire che non è la totalità la dimensione capace di evocare i nostri sentimenti più autentici e che è proprio la totalità del mondo antropocentrico che potrebbe apparire falsa oggi. Potrei sostenere che è proprio la presenza dell'assenza, cioè, la non-totalità, il frammento capace di produrre, che in misura maggiore potrebbe essere più vicina alle nostre sensazioni interne al momento attuale.

Vediamo se riesco ad essere più specifico. L'altra sera, hai citato due esempi di relazioni strutturali che evocano le sensazione della totalità - di una vasta arcata intorno ad un cortile e di un serramento troppo grande. Le Corbusier una volta ha definito l'architettura come qualche cosa che ha a che fare con una finestra che è o troppo grande o troppo piccola, ma mai della misura giusta. Quando questa è della misura giusta, allora l'edificio è solamente un edificio.

Mi sono ricordato di questo in Spagna, quest'estate, di fronte al municipio di Logroño di Rafael Moneo. Questi ha costruito un porticato dove le colonne sono troppo sottili. La cosa mi aveva disturbato molto quando ho visto le fotografie per la prima volta. Le colonne sembravano troppo esili - un colonnato disposto intorno al cortile di uno spazio pubblico. E poi, quando andai a vedere l'edificio, mi resi conto delle sue intenzioni. Egli cercava di ridimensionare qualcosa che appariva troppo grande, realizzando così un effetto che esprimeva la separazione e la fragilità che l'uomo prova in rapporto alla dimensione tecnologica della vita, delle macchine, dell'ambiente dominato dalle automobili in cui viviamo. Di fronte a quel colonnato ridotto ho provato proprio quella sensazione di cui stai parlando. Sarei curioso di vedere se la tua idea di totalità riesce a concepire l'idea di separazione. L'idea che il troppo piccolo possa suscitare contemporaneamente l'emozione del troppo grande. Perché se è solo il troppo grande che può essere accettato da te, allora si pone un problema serio.



C.A.: Non ho detto troppo grande, guarda caso, ho detto solo largo Ed è una questione completamente diversa.



P.E.: Hai parlato di un confine più vasto dell'entità che esso delimita. Penso proprio che tu abbia detto troppo largo.



C.A.: Ho detto troppo largo in rapporto all'entità, non troppo largo.



P.E.: Largo, intendendo più largo del necessario.



C.A.: No, non intendevo dire questo.



P.E.: Bene, allora potrebbe essere più piccolo del necessario.



C.A.: Sfortunatamente non conosco l'edificio che hai descritto. E che senza averlo visto non posso pronunciarmi più di tanto.



P.E.: Credo di stare dicendo che credo esista una cosmologia alternativa a quella che suggerisci. La cosmologia degli ultimi 300 anni è cambiata ed esiste oggi la possibilità potenziale per esprimere quelle sensazioni di cui tu parli anche in altri termini, oltre alla larghezza - i tuoi confini – e la ripetizione alternativa di elementi architettonici. Proprio perché credo che la vecchia cosmologia non sia più una base effettiva sulla quale poter costruire, incomincio a provare la necessità di invertire le tue condizioni - a cercare il negativo di esse - per poter affermare che per ogni condizione positiva da te suggerita, è possibile proporne anche una negativa che si avvicini più strettamente alla cosmologia odierna. Io altre parole, se riuscissi a scoprire il negativo del tuo punto di vista, potremmo più facilmente avvicinarci ad una cosmologia in cui ci riconosciamo entrambi , più che in quella che stai proponendo.



C.A.: Possiamo tornare indietro al portico solo per un momento? Il motivo per cui il porticato di Moneo appariva bizzarro e stravagante è che quando si cerca di disegnare un portico l'obiettivo è molto semplice ed è quello di rendere l'edificio assolutamente comodo - fisicamente, emotivamente, praticamente, in tutto e per tutto, E questo è molto difficile. Molto, molto più complicato di quanto la maggior parte degli architetti della contemporanea generazione sarebbe disposta ad ammettere. Parliamo allora di una faccenda semplice come quella della costruzione di un porticato. Ho scoperto nella prassi del mio lavoro che allo scopo di scoprire ciò che veramente è comodo, è necessario costruire un modello che ripeta il progetto nella sua grandezza reale. Questo è quello che normalmente faccio: così mi procuro pezzi di legno, pezzi di altro materiale, e incomincio a fare un plastico. Come sono grandi le colonne? Quant'è grande lo spazio fra di esse? A quale altezza è collocato il soffitto? Come è grande il tutto? Quando in realtà hai gli esatti rapporti di tutte queste cose, allora incominci a sentire che esse sono in armonia fra di loro.

Naturalmente, l'armonia è un risultato che deriva da te stesso ma anche dall'ambiente. In altre parole, ciò che risulta armonioso in un contesto non lo è in un altro. Ed è una semplice questione soggettiva. Per lo meno la mia esperienza mi dice che quando un gruppo di persone diverse si mette alla ricerca e scopre che cosa è l'armonia, che cosa è meglio in questa o in quell'altra situazione, il loro giudizio su di essa tende a convergere, se essi si confrontano con cose reali, con modelli a grande-scala. Se invece fanno schizzi o buttano già delle idee, essi non riusciranno a mettersi d'accordo. Ma se incominci a costruire cose reali, è più facile raggiungere un'intesa. La mia unica preoccupazione è realizzare proprio quel tipo di armonia.

La cosa che mi colpisce in rapporto alla costruzione del tuo amico - se ho capito bene quello che hai detto - è che in un certo senso, in maniera intenzionale, questa non è armoniosa. Insomma, l'intenzione di Moneo è di produrre un determinato effetto. Forse di incongruenza.



P.E.: E' vero.



C.A.: Lo trovo incomprensibile. Trovo tutto ciò molto irresponsabile. Lo trovo pazzesco. Mi spiace per lui. Ma mi sento anche incredibilmente rabbioso perché sta fottendo il mondo.



(Applausi)



P.E.: Il gruppo si sente rassicurato dagli applausi, ed il bisogno di applaudire mi preoccupa perché sta a significare che la psicologia di massa sta prendendo il sopravvento.



Qualcuno del pubblico: Perché mai gli architetti dovrebbero sentirsi a proprio agio con una cosmologia che non siete neanche sicuri che esista?



P.E.: Perché Chris sente la necessità di sentirsi a proprio agio, e io no? Perché mai sente quest'esigenza di armonia, e io no? Perché considera l'incongruenza come un gesto irresponsabile? E perché sente il dovere di arrabbiarsi? Io non mi arrabbio quando egli sente l'esigenza di armonia. Io mi rendo conto solamente di una diversa concezione.



Qualcuno del pubblico: Non sta fottendo il mondo.



P.E.: Vorrei solo sottolineare che se non fossimo qui ad agitarci nessuno saprebbe mai qual'è l'idea di Chris sulla armonia, e nessuno di voi potrebbe mai sapere quanto grande è il proprio accordo con la sua idea... Walter Benjamin parla del ‘carattere distruttivo', che egli dice ha una sua saldezza perché è costante. Anche se si reprime la natura distruttiva, in qualche modo essa verrà fuori. Se sei solo alla ricerca dell'armonia, le disarmonie e le incongruenze che definiscono l'armonia e ne permettono la comprensione, non potranno mai venire alla luce. Un mondo di armonia totale è una assenza di armonia. Dal momento che esisto, puoi intendermi e capire le tue esigenze di armonia, ma non venirmi a dire che io sto facendo l'irresponsabile o ad esprimere i tuoi giudizi morali, che io sto fottendo il mondo, perché non vorrei trovarmi a difendere me stesso da imperativi morali per causa tua.



C.A.: Buon Dio.



P.E.: Né dovresti sentirti in collera. Penso che tu dovresti sentire questa armonia come qualcosa che la maggior parte della gente chiede e ricerca. Ma comunque ci deve essere gente fuori di qui, gente come me, che sente la necessità della incongruenza. della disarmonia, ecc.



C.A.: Se tu fossi una persona poco importante, mi sentirei completamente a mio agio nel lasciarti andare per la tua strada. Ma il fatto è che la gente che la pensa come te esiste realmente! L'intera professione degli architetti in questo momento sta diffondendo queste idee. Scusami, mi spiace molto, ma sono molto, molto convinto di tutto ciò. Sembra bello dire "Guarda la disarmonia là, l'armonia qui - va tutto bene". Ma il fatto è che come architetti ci siamo assunti il compito di creare quella armonia che appartiene al mondo. E se un gruppo di gente potente, tu od altri...



P.E.: Come può diventare potente qualcuno che fotte il mondo? Voglio dire, qualcuno se ne accorgerà bene.



C.A.: Si, penso che ci riusciranno molto presto.



P.E.: Voglio credere, Chris, che siamo qui per dimostrare delle cose. La gente che sta qui non porta l'anello al naso, almeno per quello che posso vedere, ed è in grado dì giudicare da sola se io sto fottendo il mondo oppure no. Se avessero deciso che lo sto facendo, non sarebbero venuti qui. Queste sono conferenze aperte. Da parte tua stabilire che io sto fottendo il mondo appare arrogante ed arbitrario. Non ho avuto alcuna possibilità di comportarmi in questo modo, e neppure a te tale chance è stata data. Proprio perché mi trovo a disagio in situazioni di questo tipo mi trovo a dover vivere a New York. Non vivo a San Francisco, anche se è un posto piacevole. Grazie a Dio, c'è un manicomio chiamato New York, dove otto milioni di persone che la pensano come me possono vivere!



C.A.: Veramente, New York non è stata creata da quel tipo di follia. New York, di sicuro, è un posto molto eccitante. Se con fronti questa città con la Svezia e la Norvegia, allora capisco che cosa intendi dire. E sono d'accordo con te. Le tue osservazioni mi sembrano molto ragionevoli. Ma questa è una faccenda completamente diversa. Questi non sono i motivi per cui divento furioso quando vai predicando la disarmonia.



P.E.: Non predico la disarmonia, Sto solo suggerendo che la disarmonia potrebbe anche far parte di quella cosmologia di cui facciamo parte. Non Sto dicendo che ho torto oppure ragione. I miei figli vivono con l'inconscia paura di non riuscire a vivere tutta la loro vita.

Non voglio sostenere che questa paura fa bene. Cerco solo di trovare un modo per trattare la loro ansia. Una architettura che metta la propria testa nella sabbia e che regredisca allo stadio del neoclassicismo, di Schinkel, Lutyens, Ledoux, non mi sembra in grado di fornire risposte adeguate a questo tipo di ansia. Ciò che la maggior parte dei miei colleghi sta facendo oggi non mi sembra rappresenti un sistema che funzioni. Alla stessa stregua, non ritengo che una soluzione adeguata, come sembri suggerire tu, sia quella di mettere in piedi delle strutture che permettano alla gente di sentirsi a proprio agio, di precludere ogni ansia. Che cosa può fare una persona se non riesce a reagire all'ansia o se se la vede raffigurata nella sua vita? In fondo, questa rappresenta tutto quel male che i personaggi alla Pierino Porcospino impersonificano nelle favole tedesche.



C.A.: Ma non credi che al giorno d'oggi sia diffusa una più che sufficiente dose di ansia? Credi veramente che sia nostro compito confezionare più ansie sotto la forma di architetture?





RINGRAZIAMENTI

Un grazie a Angelica Fortuzzi, Alessandro Giangrande e Fausta Mecarelli che hanno permesso la riproduzione della traduzione da loro curata per il sito del Dipartimento di Progettazione e Scienze dell'Architettura - Laboratorio CAAD - Università Roma Tre .