Il Covile | | | | |

Consonanze: Morte delle città - Antologia


(maggio 2002)
“Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire.”
Rutilio Namaziano [c.a 401-404 ]

“Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno.”
Dante Alighieri [c.a 1304 ]

“La vecchia Parigi non esiste più.”
Charles Baudelaire [1861]

“La caratteristica stessa della storia è questo stesso cambiamento, questa generazione e questo corrompimento, quest'abolizione continua, questa rivoluzione perpetua. Questa morte.”
Charles Péguy [1910]

“Io mi limiterò dunque a poche parole per annunciare che Parigi, checché ne vogliano dire altri, non esiste più.”
Guy Debord [1978]

Guy Debord


Era a Parigi, una città che era allora così bella che molti furono quelli che si preferirono là poveri, piuttosto che ricchi da qualsiasi altra parte.
Chi potrebbe, oggi che non ne rimane niente, comprendere questo; al di fuori di quelli che si ricordano di questa gloria?
Chi altri potrebbe sapere le fatiche e i piaceri che abbiamo conosciuto in questi luoghi dove tutto è fatto sì malvagio?
“Qui era l'antica dimora del re di Wu. L'erba fiorisce in pace sulle sue rovine.
Là, il profondo palazzo degli Tsin, sontuoso un tempo e temuto.
Tutto questo è finito per sempre, tutto scorre insieme, gli eventi e gli uomini,
come le onde incessanti dello Yang-tse-chiang, che vanno a perdersi nel mare”.
Parigi allora, entro i confini dei suoi venti Arrondissements, non dormiva mai tutta intera, e permetteva alla deboscia di cambiare tre volte quartiere ogni notte. Non se ne erano ancora “disuniti e dispersi gli abitatori”. Vi restava un popolo, che aveva dieci volte barricato le sue strade e messo in fuga dei re. Era un popolo che non si appagava d'immagini. Non si sarebbe osato, quando ancora viveva nella sua città, fargli mangiare o fargli bere quello che la chimica di sostituzione non aveva ancora osato inventare.
Non vi erano nel centro case deserte, o rivendute a degli spettatori di cinema nati altrove, sotto altre travi rustiche (1).
La merce moderna non era ancora venuta a mostrarci tutto ciò che si può fare di una strada (2). Nessuno, a causa degli urbanisti, era costretto ad andare a dormire lontano.
Non si era ancora visto, per colpa del governo, il cielo oscurarsi e il bel tempo sparire, né la falsa nebbia dell'inquinamento coprire in permanenza la circolazione meccanica delle cose, in questa valle della desolazione. Gli alberi non erano morti soffocati; e le stelle non erano spente dal progresso dell'alienazione.
I mentitori erano, come sempre, al potere; ma lo sviluppo economico non aveva ancora dato loro i mezzi per mentire su ogni cosa, né per confermare le loro menzogne falsificando il contenuto effettivo dell'intera produzione. Si sarebbe stati allora tanto stupiti di trovare stampati o costruiti in Parigi tutti questi libri redatti dopo in cemento e in amianto, e tutti questi edifici costruiti in piatti sofismi, quanto lo si sarebbe oggi se si vedesse risorgere un Donatello o un Tucidite (3).
Musil, ne L'uomo senza qualità, osserva che “vi sono attività intellettuali in cui non i grossi volumi, ma i piccoli trattati possono fare l'orgoglio di un uomo. Se qualcuno, per esempio, scoprisse che le pietre, in certe circostanza finora mai osservate, sono capaci di parlare, gli basterebbero poche pagine per descrivere e spiegare un fenomeno così rivoluzionario”. Io mi limiterò dunque a poche parole per annunciare che Parigi, checché ne vogliano dire altri, non esiste più. La distruzione di Parigi non è che un'illustrazione esemplare della malattia mortale che si abbatte in questo momento su tutte le grandi città, e questa malattia stessa non è che uno dei numerosi sintomi della decadenza materiale di una società. Ma Parigi aveva più da perdere di qualunque altra. È una grande fortuna essere stato giovane in questa città quando, per l'ultima volta, essa brillava di un fuoco così intenso (4).

Charles Péguy


Quante volte ho risalito quella via Firenze. Per tutti i quartieri di Parigi esiste, non solo una personalità costituita, ma questa personalità ha una storia come noi. Non è stato molto tempo fa, eppure ogni cosa ha una storia. Di già. La caratteristica stessa della storia è questo stesso cambiamento, questa generazione e questo corrompimento, quest'abolizione continua, questa rivoluzione perpetua. Questa morte. Sono passati appena alcuni anni, otto, dieci e come tutto è già irriconoscibile negli stabili.
“Le vieux Paris n'est plus (la forme d'une ville
Change plus vite, hélas! que le coeur d'un mortel)” (5)
Si abitava allora in quella Parigi alta dove oggi nessuno abita più. Si costruiscono tante case nuove, nel Boulevard Raspail. Il Signor Salomon Reinach doveva ancora abitare al 36 o 38 di via Lisbona. O a un altro numero. Ma Bernard-Lazare ci passava, poteva passarci come un vicino, di passaggio. Il quartiere San Lazzaro. La via Roma e la via Costantinopoli. Tutto il quartiere d'Europa. Tutta l'Europa. Risonanze di nomi che alludevano segretamente al loro bisogno di viaggiare, alla loro facilità di viaggiare, alla loro residenza Europea. Un quartiere nei pressi della stazione che accarezzava il loro desiderio di strada ferrata, la loro facilità di mettersi in viaggio. Tutti hanno cambiato casa. Alcuni hanno trovato casa nella morte. Molti anzi. Zola abitava in via Bruxelles, all'81 o all'81 bis o all'83 di via Bruxelles. Prima udienza. - Udienza del 7 Febbraio. - Lei si chiama Emile Zola? - Sì signore. - Che professione? - Letterato. - Quanti anni ha? - Cinquantotto anni. - Dove abita? - In via Bruxelles, 81 bis. Il Signor Lodovico Halévy abitava anch'egli in via Douai, che dev'essere nello stesso quartiere, via Douai, 22 e ancor oggi, via Roma, 62, Boulevard Haussmann, 155, erano gli indirizzi di quei tempi. Anche Dreyfus era di questo quartiere. Solo Labori abita ancora al 41 o al 45 di via Condorcet. Mi si dice che solo da poco si è trasferito nel XII circondario, in via Pigalle,12. Tutta una popolazione, tutto un popolo abitava così nelle parti alte di Parigi, sulle pendici della Parigi alta e compatta, tutto un popolo, amici, nemici, che si conoscevano, non si conoscevano, ma si sentivano, si sapevano vicini di casa in quell'immensa Parigi (6).

Charles Baudelaire

Il cigno


I
Andromaca, penso a voi! - Quel fiumiciattolo, povero e triste specchio dove ieri rifulse la maestà immensa dei vostri vedovili dolori, quel Simoenta bugiardo che si gonfiò delle vostre lacrime,
ha subito fecondato la mia fertile memoria mentre attraversavo il nuovo Carosello. - La vecchia Parigi non è più (la forma d'una città, ahimè, muta più rapidamente d'un cuore mortale);
non vedo che in ispirito tutto quel campo di baracche, quel mucchio di capitelli sbozzati e di colonne, le erbe, i grossi massi inverditi dall'acqua delle pozzanghere, e, luccicante dietro i vetri, la confusione degli oggetti usati.
Là un giorno s'adagiava un serraglio; là vidi, una mattina, nell'ora in cui sotto i cieli limpidi e freddi si sveglia il Lavoro, quando la nettezza urbana solleva uno scuro turbine nell'aria silenziosa,
un cigno ch'era fuggito dalla gabbia e che, sfregando coi piedi palmati il selciato asciutto, strascicava le sue bianche penne sul suolo scabro. Presso un rigagnolo senz'acqua l'animale, aprendo il becco,
tuffava nervosamente le ali nella polvere, e diceva, gonfio il cuore del suo bel lago natio: “Acqua, quando pioverai? quando tuonerai, fulmine?” Vedo quell'infelice, mito strano e fatale,
volgere talvolta al cielo, come l'uomo d'Ovidio, al cielo ironico e crudelmente azzurro, il capo avido sul collo convulso, come se rivolgesse dei rimproveri a Dio!

II
Parigi cambia, ma nulla della mia malinconia s'è mosso! palazzi nuovi, impalcature, massi, vecchi sobborghi, tutto diventa per me allegoria, e i miei cari ricordi son più grevi delle rocce.
Così davanti a questo Louvre m'opprime un'immagine: penso al mio grande cigno coi suoi gesti folli, da esiliato, ridicolo e sublime, e roso da un desiderio senza tregua! e poi a voi,
Andromaca, caduta dalle braccia d'un grande sposo, vile bestia, sotto la mano del superbo Pirro, china in estasi presso una tomba vuota; vedova d'Ettore, ahimè! e moglie di Elèno!
Penso alla negra, smagrita e tisica, che scalpiccia nel fango e cerca, con occhio torvo, le assenti palme da cocco dell'Africa superba dietro l'immensa muraglia della nebbia;
a chiunque ha perduto ciò che non si ritrova mai! mai! a coloro che s'abbeverano di lacrime e poppano al Dolore come a una buona lupa! ai magri orfanelli che rinsecchiscono come i fiori!
Così nella foresta dove s'esilia il mio spirito un vecchio Ricordo suona a tutto fiato il corno! Penso al marinai dimenticati in isola, ai prigionieri, ai vinti! ...e a molti altri ancora!
traduzione di Giorgio Caproni

Dante Alighieri


Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond'ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che 'l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;
non v'era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che 'n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.

Bellincion Berti vid'io andar cinto
di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza 'l viso dipinto;

e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.

L'una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l'idioma
che prima i padri e le madri trastulla;

l'altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.

A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,

Maria mi diè, chiamata in alte grida;
e ne l'antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.

Rutilio Namaziano


Prossima Populonia schiude il suo lido sicuro portando il golfo naturale in mezzo ai campi. E qui non alza fino al cielo le sue moli edificate, e luce nella notte, Faro, ma trovando in sorte gli antichi l’osservatorio di una forte rupe dove il ripido picco stringe i flutti domi, vi posero una fortezza che fosse di doppio beneficio per le genti, difesa a terra, segnale per il mare.
Non si possono più riconoscere i monumenti dell’epoca trascorsa, i numerosi spalti ha consunto il tempo vorace. Restano solo tracce tra crolli e rovine di muri, giacciono tetti sepolti in vasti ruderi. Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire. (7)
Note
  1. Fu Vincenzo Bugliani a farmi notare come il brano sia un detournement del canto XV del Paradiso, quello di Cacciaguida: “Non avea case di famiglia vòte”
  2. “non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n camera si puote.”
  3. “Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.”
  4. Guy Debord, In girum imus nocte et consumimur igni in Opere cinematografiche complete 1952-1978, Roma, 1980, pp. 250-255
  5. Grazie alla cortesia di Paolo Squillacioti sappiamo che: “la vecchia Parigi non esiste più ben prima del 1910: Peguy cita Il cigno di Baudelaire (I fiori del Male sono del 1857). Alle spalle c'è lo sventramento della città indotto dai moti rivoluzionari del '48: i boulevard si controllano meglio delle strade strette, dove basta niente a fare una barricata.”
  6. La nostra gioventù, UTET, pp. 117-118
  7. De reditu suo / Il ritorno, Einaudi, Torino, 1992, pp. 30-31