Ivan Illich
La perdita del mondo e della carne


da una lettera di Ivan Illich scritta nel 1992 per il 70° compleanno di Hellmut Becker, allora direttore del Max Planck Institut per la Ricerca Educativa di Berlino, e letta da Wolfgang Sachs a Brema durante la messa del funerale di Ivan il 5 dicembre 2002


traduzione di Giannozzo Pucci dai testi inglese e francese



In passato si lasciava il mondo con la morte. Fino a quel momento si viveva nel mondo. Noi due apparteniamo ancora alla generazione di quelli che sono "venuti al mondo", ma che adesso rischiano di morire senza i piedi sulla terra. A differenza di tutte le altre generazioni abbiamo vissuto la rottura col mondo.

Un tempo chi rinunciava al mondo prendeva il bastone del pellegrino e si metteva in cammino sulla via di Santiago a Compostela; poteva chiedere la stabilitas alla porta del monastero, o aggregarsi ai lebbrosi. Il mondo russo o greco offrivano anche la possibilità di diventare non un monaco ma un pazzo santo e di fare il buffone per il resto della vita nell’atrio di una chiesa fra cani e mendicanti. Ma anche per questi estremi fuggiaschi il "mondo" restava il quadro sensoriale della loro passeggera esistenza. Il "mondo" rimaneva una tentazione, proprio per colui che voleva rinunciarvi. Molti di coloro che pretendevano di abbandonare il mondo si sorprendevano a barare. La storia dell’ascetismo cristiano è quella di un eroico tentativo di sincerità nella rinuncia ad un mondo a cui l’asceta restava attaccato con ogni fibra. Sentendosi morire, mio zio Alberto si fece servire il Vin Santo messo nei caratelli l’anno della sua nascita.

Oggi è diverso. La storia bimillenaria dell’Europa cristiana appartiene al passato. Il mondo in cui ancora era nata la nostra generazione è svanito. E’ diventato inafferrabile non solo per i nostri fratelli più giovani ma anche per noi, gli anziani. Certo i vecchi si sono sempre ricordati dei bei tempi andati, ma questa scusa non basta a noi, che siamo nati prima dei regimi di Stalin, Roosevelt, Hitler e Franco, per dimenticare il tipo di separazioni dal mondo che abbiamo incontrato.

Ricordo il giorno in cui diventai vecchio a un tratto, definitivamente. Non posso dimenticare le nuvole nere di marzo nel sole della sera e le vigne della Sommerheide fra Potzleinsdorf e Salmannsdorf vicino a Vienna due giorni prima dell’Anschluss (annessione dell’Austria). Fino a quel momento era stata una certezza assoluta per me che un giorno avrei dato dei bambini all’antica torre di famiglia sull’isola dalmata dei miei antenati. Dopo quella passeggiata solitaria, questa cosa mi parve impossibile. In quel momento, ragazzo di dodici anni, sperimentai l’esilio della carne dalla trama della storia, prima ancora che da Berlino arrivasse l’ordine di mandare tutti i matti del Reich alle camere a gas.

Discorrere fra noi di questa rottura, nell’esperienza del mondo e della morte, è un privilegio della generazione che ha conosciuto quel che c’è stato prima. Hellmut, credo di rivolgermi a qualcuno che sa di cosa sto parlando. Il destino ha reso me fin da molto giovane, un collega, un consigliere e un amico di uomini e donne nati vari decenni prima. E’ così che ho imparato a lasciarmi edificare e formare da persone troppo vecchie per aver potuto avere questa esperienza di disincarnazione. D’altra parte i nostri studenti sono tutti nati nell’epoca dopo Guernica, Dresda, Bergen-Belsen e Los Alamos. Il genocidio e il progetto Genoma, la morte delle foreste e la cultura idroponica, il trapianto cardiaco e il medicidio rimborsato dalla sicurezza sociale sono egualmente insipidi, inodori, inafferrabili e fuori dal mondo. Noi che siamo appena abbastanza vecchi e ancora abbastanza giovani per aver vissuto il passaggio alla Fine della Natura, la fine di un mondo proporzionato ai sensi, dovremmo essere capaci di morire come nessun altro.

Ciò che è stato può ritornare polvere. Il passato può essere ricordato. Paul Celan sapeva che dalla riduzione del mondo, che abbiamo visto noi, resta solo fumo. Il drive virtuale del mio computer mi ha fornito un simbolo per questa cancellazione irrevocabile con la quale la scomparsa del mondo e della carne può essere rappresentata. La separazione del mondo dal mondo non si è depositata come le rovine del passato negli strati inferiori della terra. E’ scomparsa come una riga cancellata dalla memoria del computer.

E’ per questa ragione che noi, i settantenni, siamo dei testimoni unici che conservano in memoria, non soltanto dei nomi, ma dei modi di percepire che nessuno più conosce. Eppure, molti di coloro che hanno vissuto la rottura ne sono rimasti spezzati. Ne conosco che hanno reciso da soli il filo che li legava all’esistenza prima della bomba atomica, prima di Auschwitz e prima dell’AIDS. Ancora a metà strada della loro esistenza si sono trasformati fino al midollo in viejos verdes, in verdi invecchiati e galanti che si comportano come se ci potessero ancora essere dei "padri" in quell’organizzazione di spettacoli diventata "il Sistema". Ciò che nel Terzo Reich era ancora propaganda e poteva perciò essere banalizzato dalla pubblica opinione del sentito dire, oggi viene venduto come Menu nel programma del computer o con la polizza assicurativa; come consigli agli studenti, cure anticancro, antistress, o terapie di gruppo per quelli che ci cascano. Noi vecchi apparteniamo alla generazione dei pionieri di questo nonsenso. Siamo gli ultimi sopravvissuti della generazione che ha trasformato i sistemi dello sviluppo, della comunicazione e dei servizi, in bisogni per tutto il mondo. La disincarnazione estraniante dal mondo e l’impotenza programmata che abbiamo diffuso superano di gran lunga in profondità ed altezza i rifiuti che la nostra generazione ha depositato nei cieli e sulla terra, nelle falde sotterranee e nella stratosfera.

Eravamo nei posti chiave quando la televisione tolse alla gente la vita quotidiana. Io stesso mi sono battuto perché la stazione televisiva dell’università fosse in grado di trasmettere, anche con la pioggia, sulla piazza di ogni villaggio di Portorico. Non sapevo allora quanto essa avrebbe ridotto il raggio di percezione dei sensi e fino a che punto l’orizzonte sarebbe stato barricato dalla pubblicità. Non pensai che ben presto le previsioni del tempo europeo nei programmi della sera avrebbero dipinto le prime luci dell’alba che entravano dalla finestra. Per decenni ero stato troppo libero e superficiale nell’affrontare inconcepibili astrazioni come: un miliardo di persone sotto la curva di Gauss di un diagramma statistico. Dal gennaio di quest’anno il mio estratto-conto alla Chase Manhattan Bank è stato decorato con un grafico che permette di confrontare a colpo d’occhio le spese per alimenti, bevande, cancelleria e materiali da ufficio. Centinaia dei più dettagliati servizi di informazione, amministrazione e consigli professionali mi forniscono oggi una loro interpretazione della mia conditio humana. Quando, più di vent’anni fa’, abbiamo discusso insieme su questo argomento dell’educazione perpetua, Hellmut, non potevo immaginare che l’insinuarsi dell’impresa educativa nella quotidianità dell’intera vita sarebbe stato così vellutato e insidioso.

La realtà dei sensi sprofonda sempre più nelle pagine di istruzioni su come vedere, sentire e gustare. L’educazione all’irreale come dato di fatto (e ai prodotti irreali della fattibilità tecnica illimitata) comincia sui libri di scuola, i cui testi sono diventati sottotitoli per immagini grafiche, e si conclude con l’aggrapparsi dei morenti alle incoraggianti analisi diagnostiche sulle loro condizioni di salute. Eccitanti astrazioni che catturano l’anima hanno ricoperto, come federe di plastica, la percezione del mondo e di noi stessi. Me ne accorgo quando parlo ai giovani della Resurrezione dei morti: la loro difficoltà non consiste tanto in una mancanza di fiducia ma piuttosto nella disincarnazione delle loro percezioni e della loro vita costantemente distratta dal loro soma.

In un mondo che è nemico della morte, tu ed io ci prepariamo, non ad arrivare a una fine mortale, ma a morire nel senso intransitivo. In occasione del Tuo settantesimo compleanno celebriamo l’amicizia che ci permette di lodare Dio per la gloria sensuale del mondo reale attraverso il nostro stesso addio ad esso.