Costanzo Preve
LA QUESTIONE SCOLASTICA E LA RIFORMA BERLINGUER
Un evento catastrofico che si svolge in mezzo ad una colpevole disattenzione della cultura italiana
fonte
Premessa.
- La distruzione pianificata del Liceo Europeo: una riforma anti-borghese,
post-borghese, post-proletaria, ultra-capitalistica.
- I maggiordomi distruttori del Liceo Europeo: ceto politico professionale
post-comunista, pedagogisti futuristi, burocrati post-moderni.
- Il Liceo Europeo al di là della falsa e fittizia contrapposizione fra Liceo Classico e Liceo Scientifico.
- La riforma Gentile del 1923. Una interpretazione limitativa del Liceo
Europeo.
- Un fenomeno storico sconcertante: il suicidio sindacalistico e mimetico della
piccola borghesia intellettuale italiana dopo il Sessantotto.
- La scuola del pensiero unico, del monoteismo di mercato e del modello
dell'impresa.
- Il cavallo di Troia: il nuovo esame di maturità.
- Il giovanilismo burocratico, i pulcini partitici e la competenza specifica in
materia di superficialità.
- Le conclusioni fra pessimismo della volontà ed ottimismo dell'intelligenza.
Premessa.
Negli ultimi duecento anni di storia europea ed occidentale, la cosiddetta
alta cultura si è sempre occupata delle questioni delle riforme scolastiche in
tutte le loro dimensioni (forme e contenuti dell'apprendimento, sistemi di
valutazione, eccetera). Ma negli ultimi vent'anni, nel quadro di una generale
frammentazione dei linguaggi, delle competenze e degli interessi, c'è stata una
catastrofica inversione di tendenza. Oggi il futuro ed il destino della scuola
è in mano ad una eterogenea adunata di politici di professione, sindacalisti,
esperti di mercato del lavoro, distaccati ed altri parassiti professionali,
pedagogisti futuristi culturalmente schizzati ed altri manager. È questo un
evento catastrofico, sostanzialmente inedito nella storia italiana, che tocca
l'identità culturale nel suo delicato meccanismo di trasmissione
intergenerazionale. In quanto evento politico, è immensamente più importante
della Telecom, della Fiat, delle lotte fra Polo ed Ulivo, fra Prodi e D'Alema, e
via spigolando fra le comparse della politica-spettacolo. Ma di tutto questo non
c'è affatto un'adeguata consapevolezza. Queste note, che giungono probabilmente
troppo tardi, quando ormai "i buoi sono scappati dalla stalla",
vorrebbero andare controcorrente. Ancora una volta, ripeto che la questione
scolastica non è mai soltanto scolastica, ma è sempre lo specchio ed il
riflesso della più ampia questione dell'identità culturale nazionale in un
mondo che si dichiara globalizzato, laddove si tratta soltanto di un mondo
rimondializzato in senso capitalistico ed imperialistico.
1. La distruzione pianificata del Liceo Europeo: una riforma anti-borghese,
post-borghese, post-proletaria, ultra-capitalistica.
Per capire quanto sta avvenendo non solo in Italia ma (con diverse modalità)
nell'intera Europa è necessario non perdersi nella variopinta selva degli
infiniti particolari organizzativi e didattico-pedagogici, ma occorre cogliere
l'essenziale, cioè il minimo comun denominatore storico-strategico del
problema. In breve, quanto sta accadendo è un evento storico di portata
secolare, la distruzione dall'alto del liceo europeo nato circa duecento anni fa
a cavallo di Illuminismo e di Romanticismo. Questa distruzione, che è ad un
tempo una Rivoluzione dall'Alto ed una Rivoluzione Passiva, è attuata da un
soggetto sociale relativamente nuovo (di cui parleremo nel prossimo cruciale
secondo paragrafo), che agisce però per conto di giganteschi poteri forti,
economico-finanziari, che semplicemente non hanno più bisogno, non vogliono e
non desiderano più un sistema scolastico formatosi al tempo della Cultura
Borghese e dello Stato Nazionale.
Non si può ovviamente negare che il vecchio liceo europeo, sorto fra il 1790 ed
il 1820 a partire dalla Germania hegeliana e dalla Francia napoleonica, fosse un
liceo di classe. Esso era ovviamente una scuola di classe, ed in particolare
della nuova Classe Borghese Emergente, che come tutte le classi sociali attive
ed egemoniche pensava il proprio dominio all'interno di categorie
ideologicamente universalistiche. Ma questa genesi storica è assolutamente
normale, e non deve diventare il pretesto populistico e luddistico per buttare
via il bambino universalistico con l'acqua sporca particolaristica (chi agisce
così deve allora essere conseguente con la sua idiozia sociologica, e buttare
via anche il rifiuto della tortura e dei roghi delle streghe, oltre ai diritti
di libertà di vario tipo, tutti fenomeni culturali sorti in una genesi
particolaristica). La nuova classe borghese emergente europea, che voleva
togliere alle chiese cristiane (non importa se cattoliche, protestanti o
ortodosse) il monopolio dell'istruzione secondaria, produsse il liceo europeo
unificando i lati migliori della cultura illuministica (con la sua esaltazione
della storia e delle scienze matematiche e naturali) e della cultura romantica
(con la sua esaltazione della classicità, della letteratura e della centralità
dell'educazione non solo razionale ma anche sentimentale).
Lo ripetiamo: non c'è alcun dubbio che la genesi storica del liceo europeo sia
stata una genesi di classe, esattamente come peraltro per la produzione
industriale e per i diritti politici liberaldemocratici. Occorre ricordare bene
questa genesi indiscutibile, perché essa permette di comprendere le lontane
radici ideologiche dell'affabulazione apparentemente egualitaria, livellatrice e
democratica dei post-comunisti nichilisti alla Luigi Berlinguer, che distruggono
il vecchio liceo borghese, credendosi molto riformisti e molto rivoluzionari,
semplicemente perché siamo in una fase storica post-borghese del capitalismo.
Al posto delle vecchie Alta Borghesia e Piccola Borghesia ci stanno ora due
gruppi sociali nuovi, un'Oligarchia finanziaria transnazionale
deterritorializzata ed una Classe Media Globale del tutto post-borghese e
post-proletaria. Entrambe non sanno più che farsene del vecchio liceo europeo,
ed hanno trovato il sicario nel nuovo ceto politico post-comunista, diventato
oggi in Italia un ceto politico mercenario professionalizzato dopo la rovinosa
ed irreversibile caduta dei sistemi economici, politici e sociali del comunismo
storico novecentesco.
La comprensione di questo fenomeno storico è impossibile per tutti coloro che
identificano Borghesia e Capitalismo, cioè un soggetto storico-culturale
temporaneo con un Modo di Produzione che nella sua riproduzione funziona assai
più come un Processo senza Soggetto (secondo la corretta intuizione di Louis
Althusser) che come un Progetto Finalistico voluto da un improbabile deus ex
machina denominato Borghesia. Questa comprensione è dunque assolutamente
impossibile per il 95% di tutti i cosiddetti marxisti, sia ortodossi che
eretici, che sono appunto unificati viziosamente da quella grottesca forma di
Economicismo che si basa appunto sull'identificazione fra Borghesia e
Capitalismo. Queste note non sono assolutamente rivolte a costoro, per il
semplice fatto che l'Economicismo è una forma di pensiero irriformabile,
incurabile, autoreferenziale, dotata di una coerenza paranoica che non può
essere scalfita, come avviene per i cultori del satanismo o per i credenti in un
complotto templare-rosacrociano per conquistare il mondo. L'Economicismo non
potrà capire mai come un fenomeno possa essere contemporaneamente a tutti gli
effetti antiborghese ed ultracapitalistico. Ed è appunto questo il caso
dell'attuale distruzione pianificata del liceo europeo, coincidente per di più
con un'asfissiante retorica ultraeconomicistica sull'Europa monetaria dell'Euro.
Da un punto di vista strettamente filosofico, si tratta di una figura
fenomenologica assolutamente interna alla rovinosa dialettica interna
dell'Economicismo, da un economicismo antiborghese e proletario ad un
economicismo postborghese ed ultracapitalistico. Ma è bene chiarire meglio il
significato dei termini che proponiamo.
Questa riforma Berlinguer è una riforma anti-borghese, perché la natura
dell'egemonia borghese sulle altre classi capitalistiche soggette non era solo
economica, ma era anche di tipo culturale. Ma il tipo di classe capitalistica
dominante negli Stati Uniti d'America, come già Tocqueville rilevò in modo
geniale più di centocinquant'anni fa, era caratterizzata, a differenza delle
classi capitalistiche europee, da una natura democratica, non certo nel senso
greco antico del termine, ma nel senso modernissimo per cui il denaro, e solo il
denaro, strumento democratico per eccellenza in quanto accessibile in via di
principio a tutti, rappresentava l'unico elemento di distinzione. Alla fine del
Novecento, dopo tre guerre mondiali vinte dagli USA (includendo anche la guerra
fredda contro il comunismo storico novecentesco), le classi
borghesi-capitalistiche europee adottano il modello capitalistico puro
americano, ed è dunque del tutto logico che smantellino il loro liceo europeo
di classe.
Questa riforma Berlinguer è una riforma post-borghese e post-proletaria per il
fatto che Borghesia e Proletariato sono classi polarmente complementari, e l'una
non può stare senza l'altra. Solo gli sciocchi marxisti dogmatici economicisti
pensano che la Borghesia possa tramontare, o essere ridotta ad una pura funzione
imprenditoriale o tecnico-amministrativa, mentre continua ad esistere una sorta
di ectoplasma sociale chiamato Proletariato Mondiale, l'insieme statistico di
chi in qualche modo vende la sua forza-lavoro. Al tempo del liceo europeo
borghese c'era anche la scuola professionale proletaria per eccellenza,
l'istituto tecnico di origine tedesca (figlio della Seconda Rivoluzione
Industriale e della Seconda Internazionale Socialista). Non è un caso che
anch'esso stia tramontando, sostituito dai veloci corsi di alfabetizzazione
informatica.
Questa riforma Berlinguer è una riforma ultracapitalistica, perché in essa è
palese che la forma dell'impresa, con il suo linguaggio economicistico e
bancario (preside manager, crediti e debiti formativi, eccetera), è rimasto il
solo modello organizzativo e gestionale consentito. Dall'analisi della riforma
Berlinguer risulta con particolare chiarezza il fatto che un modello
capitalistico maturo, avanzato e puro si lascia alle spalle i periodi precedenti
caratterizzati dalla dicotomia Borghesia/Proletariato. Tuttavia, scoperto il
delitto, bisogna ancora scoprire l'assassino. E come nei migliori romanzi
polizieschi, l'assassino non è mai il soggetto maggiormente sospettabile, ma
deve sempre essere cercato fra gli apparentemente insospettabili, o quanto meno
fra coloro che negano di essere tali.
Ma in questo caso il compito del detective è facile. Per comodità del lettore
svelerò subito l'enigma: l'assassino è il maggiordomo.
2. I maggiordomi distruttori del Liceo Europeo: ceto politico professionale
post-comunista, pedagogisti futuristi, burocrati post-moderni.
Le feroci oligarchie finanziarie transnazionali che dominano il pianeta, che
rappresentano antropologicamente, socialmente e culturalmente una mutazione
genetica originatasi da una precedente ma ormai estinta Borghesia, agiscono oggi
ancora utilizzando un personale politico professionale reclutato sulla base
degli stati nazionali, anche se i loro apologeti già sentono il bisogno di
anticipare che occorre superare questa muffa nazionale, e ricorrere a mostri
sociali già integralmente deterritorializzati, globalizzati e completamente
sradicati, come il pagliaccio ex-sessantottino Daniel Cohn-Bendit, presentato
come il politico del futuro per eccellenza, in quanto perfettamente
senza-classi, senzapatria, senzadio e senza radicamento nazionale, puro
ectoplasma politico-culturale della globalizzazione finanziaria. Ma a tanto non
siamo ancora arrivati, e per ora i padroni del mondo devono ricorrere ancora ad
un personale politico reclutato su base nazionale.
In Italia, dopo il colpo di stato giudiziario detto Mani Pulite, questo
personale politico di maggiordomi fedeli, di mercenari estremamente
professionalizzati esiste già, è stato accuratamente selezionato in decenni di
apprendistato di potere locale e sindacale. Si tratta dei maggiordomi
ex-comunisti e post-comunisti. Ma il termine ex-comunista è ingannevole, perché
implicherebbe una sorta di mutamento qualitativo e di conversione antropologica
ed esistenziale che in realtà non è mai avvenuto, anche e soprattutto perché
nessuno aveva interesse a chiederglielo. In realtà, così come le attuali
oligarchie finanziarie non sono per nulla ex-borghesi, ma sono soltanto
post-borghesi, in quanto rappresentano un anello evolutivo all'interno dello
stesso genere e della stessa specie, nello stesso modo le attuali classi
politiche di sinistra non sono affatto ex-comuniste, ma solo post-comuniste,
perché rappresentano soltanto un anello evolutivo cresciuto sullo stesso
terreno biologico e genetico di tipo staliniano e togliattiano. Da questo punto
di vista apparenti misteri antropologici come Occhetto, D'Alema, Veltroni,
Mussi, Fassino, Luigi Berlinguer, eccetera, non sono per nulla misteriosi. Il
filosofo cattolico Augusto Del Noce li ha per esempio già descritti
profeticamente fin dagli anni Sessanta. Essi sono misteriosi solo alla luce del
pensiero meccanicistico, deterministico, economicistico, oppure del pensiero
magico-religioso (tradimenti, abiure, eccetera). Alla luce di un pensiero
dialettico alla Hegel essi sono quanto di più trasparente, comprensibile e
soprattutto banale si possa immaginare.
Il ceto politico professionale post-comunista si è formato dentro una vera e
propria Metafisica Politicistica ed Economicistica erroneamente scambiata per
marxismo, cioè per pensiero originale di Marx, laddove si trattava dei
giacimenti di guano lasciati dall'economicismo mistico e dal politicismo
esasperato della Seconda e poi della Terza Internazionale. La riproduzione
sociale era ridotta ad economia, e lo spazio pubblico a politica di partito. La
scuola era analizzata in termini istericamente economicistici come luogo di
produzione di forza-lavoro in formazione, mentre i modelli culturali erano tutti
visti con sospetto come fattori di una selezione meritocratica che poteva
sfuggire in qualche modo al vorace cannibalismo della pura cooptazione politica
di partito. Se questa genesi ideologica è tenuta in conto e considerata nei
suoi esatti termini storici, non ci si potrà poi stupire se questo Economicismo
Primario, intessuto di populismo, rancore, risentimento ed innocua affabulazione
comunista ha potuto rapidamente evolvere in Economicismo Secondario, cioè in
adattamento pianificato nella forma dell'impresa capitalistica, un adattamento
che ovviamente presuppone il seppellimento del vecchio liceo europeo. Il
passaggio dall'Economicismo Primario all'Economicismo Secondario è un passaggio
interno all'Economicismo come formazione ideologica, e non richiede pertanto
alcuna conversione esistenziale o antropologica. È possibile accertarsi di
questo in modo rigorosamente lombrosiano, considerando non solo l'ineffabile
Luigi Berlinguer, rampollo ereditario della nobiltà comunista di ramo
sardo-sassarese, ma il codazzo dei suoi collaboratori, un codazzo ricco di
ex-estremisti, ex-sindacalisti, più vari parassiti e distaccati
dall'insegnamento.
Siamo dunque in grado di diagnosticare le due principali caratteristiche del
ceto post-comunista dei maggiordomi assassini del liceo europeo di genesi
borghese, romantico-illuministica. Si tratta di maggiordomi nichilisti e
ricattabili. Si tratta di maggiordomi nichilisti, perché il loro fondamento
ideologico precedente era un Economicismo raddoppiato con un innocuo Finalismo
Utopistico (il comunismo), ed una volta caduto l'illusorio finalismo utopistico
resta solo il brutale Economicismo, ed allora il presunto Oltreuomo comunista
diventa un puro Ultimo Uomo ultracapitalistico. Si tratta di maggiordomi
ricattabili, perché pende sempre su di loro la spada di Damocle del loro
torbido passato comunista, che i loro nuovi padroni possono sempre rivangare e
rinfacciare, per cui devono sempre mostrare di essere zelanti e primi della
classe.
Questo ceto di maggiordomi non potrebbe però distruggere una istituzione tanto
radicata come il liceo europeo senza la collaborazione subalterna di due altri
soggetti socio-professionali, i pedagogisti futuristi ed i nuovi burocrati
post-moderni. Bisogna dunque fare brevemente riferimento ad entrambi questi
pittoreschi soggetti.
I pedagogisti luddisti e futuristi sono i sicari ideali del ceto politico
post-comunista. Molti commentatori hanno fatto giustamente notare che uno degli
ispiratori della riforma Berlinguer, il pedagogista Roberto Maragliano, è
autore di questa stupefacente affermazione: "Il videogioco è la più
grande rivoluzione epistemologica di questo secolo. Ti dà una scioltezza, una
densità, una percezione delle situazioni e delle operazioni che puoi fare al
loro interno che permette di esaltare dimensioni dell'intelligenza e dello stare
al mondo finora sacrificate dalla cultura astratta"
. A differenza di come
potrebbe pensare il lettore frettoloso, non si tratta di intossicazione di
ecstasy da discoteca. È vero che la pedagogia è da sempre il ventre molle
delle scienze umane e della filosofia, la zona borderline per improvvisatori e
chiacchieroni, l'organismo più aggredibile dalle mode contingenti. È vero che
le stolide manie organizzativistiche di molti pedagogisti borderline hanno già
prodotto l'inutile diluvio cartaceo che ha già distrutto la scuola media unica
italiana, in nome del principio magico-animistico per cui tutto ciò che è
registrato su carta deve necessariamente produrre effetti culturali (laddove
ovviamente così non è). Ma nella demenziale affermazione di Maragliano ci sta
(senza che ovviamente il disgraziato possa minimamente sospettarlo) una profonda
aderenza allo spirito del tempo della postmodernità, lo Zeitgeist
ultracapitalistico e post-borghese attuale. Quella che per il luddista
Maragliano era la "cultura astratta" era in realtà la cultura
critica, quella che impone l'attesa e la riflessione, che è effettivamente
incompatibile con la velocità di decisione immediata richiesta da una cultura
operazionale pura e non più critica. Così come il telecomando, anche il
videogioco è un modello di pura velocità che salta l'ormai obsoleta lentezza
critica e riflessiva. Il demenziale Maragliano deve velocizzare la lentezza
della cultura astratta in nome della prontezza delle battute da talk show e
degli spunti brillanti di esami che in un'ora toccano l'intero scibile umano.
A fianco dei pedagogisti futuristi e drogati di velocità ci sono però anche e
soprattutto i nuovi burocrati post-moderni. Questi burocrati non sono più i
vecchi democristiani bacchettoni, statalisti e maneggioni di Viale Trastevere
del mezzo secolo democristiano, i quali lasciarono sempre in vita il liceo
europeo non certo perché ne comprendessero lo spessore culturale, ma perché il
loro modello preferenziale, la scuola di preti mafioso-familiare, non poteva
essere esteso all'intera collettività, e dovevano dunque continuare a
riprodurre il venerabile modello classico-borghese. I nuovi burocrati sono il
prodotto di una fusione fra il vecchio ceto ministeriale, verticistico,
gerarchico, maneggione e faccendiere ed il nuovo ceto burocratico nato dai
sindacati scuola confederali, fatto di distaccati, politicanti a tempo pieno,
formatori ed altri vari parassiti.
In questa Armata Brancaleone mancano, ovviamente, e non potevano non mancare,
gli insegnanti normali. E sono appunto gli insegnanti normali, e particolarmente
i buoni insegnanti, che hanno sostenuto e fatto funzionare il liceo europeo
negli ultimi duecento anni, i veri assenti di questa riforma, il vero soggetto
assente. I buoni insegnanti sono caratterizzati da due vocazioni distinte, a
volte presenti insieme ed a volte separate, la vocazione all'insegnamento e/o la
vocazione culturale e di studio e ricerca. Entrambe queste vocazioni sono
incompatibili con il mondo parassitario dei sindacalisti, dei quadri politici,
dei distaccati a vita, degli addetti-stampa, e di tutta la pittoresca congrega
che accompagna il ceto politico professionale post-comunista, e che vive di
riunioni interminabili in cui tutti fumano in una stanza chiusa richiamandosi
contemporaneamente ai valori dell'ecologia, ed in cui lo stesso femminismo
diventa spartizione di quote dirigenziali per sindacaliste logorroiche.
Ma il ceto politico post-comunista ed i pedagogisti schizzati non sanno
letteralmente che farsene degli insegnanti normali, che disprezzano in quanto
massa impiegatizia taylorista-fordista, e soprattutto dei buoni insegnanti, di
cui sospettano e temono la capacità critica e professionale. Ed è dunque
inevitabile che essi diano luogo ad una situazione autoreferenziale, in cui si
produce un'affabulazione cartaceo-informatica sulla scuola da cui però sono
assenti gli insegnanti, cioè gli insegnanti normali ed i buoni insegnanti. Al
posto di questi troneggiano il post-comunista Berlinguer, il videodipendente
Maragliano, e bande di sindacalisti e di distaccati partitici.
3. Il Liceo Europeo al di là della falsa e fittizia contrapposizione fra
Liceo Classico e Liceo Scientifico.
Sul vecchio liceo europeo esiste un'infondata leggenda negativa, per cui si
tratterebbe di una scuola esclusivamente classica, letteraria, umanistica, e
quindi per sua stessa natura incapace di tener conto del valore culturale della
cultura scientifica. Tuttavia, questo pregiudizio è nell'insieme infondato. Il
vecchio liceo europeo, di genesi storica borghese e di validità culturale
universalistica, è in realtà nato quasi contemporaneamente in Germania, come
liceo prevalentemente classico, e nella Francia napoleonica, come liceo
prevalentemente scientifico. La stessa stucchevole diatriba sulla cosiddetta
superiorità della cultura classica e/o della cultura scientifica, con i
conseguenti idioti dilemmi se sia più importante conoscere Shakespeare o la
seconda legge della termodinamica (tipico dilemma per chi non ha proprio niente
di meglio da fare) è del tutto estranea all'impostazione originaria del liceo
europeo, ed è piuttosto tipica di una situazione culturale di cento anni dopo,
cioè del primo Novecento, nel contesto di una polemica neoidealistica contro il
positivismo. Il liceo europeo che i maggiordomi post-comunisti stanno
distruggendo in Italia piace infatti sia a persone di cultura scientifica (cfr.
Lucio Russo, Segmenti e Bastoncini, Feltrinelli 1998), sia a persone di cultura
umanistica (cfr. Fabrizio Polacco, La cultura a picco, Marsilio 1998). E questo
non è ovviamente un caso. L'impostazione culturale originaria del liceo
europeo, infatti, rifiuta l'assurdo dilemma gerarchico della cosiddetta
superiorità fra asse umanistico ed asse scientifico, in favore di una natura
critica dell'apprendimento di tutte le discipline. La genesi particolaristica di
questa comune natura critica stava evidentemente nel fatto che la borghesia
aveva bisogno di questo apprendistato critico per la sua lotta su due fronti,
contro il tradizionalismo aristocratico e clericale e contro le nascenti
rivendicazioni popolari, operaie e contadine. Ma la validità universalistica di
questa comune natura critica sopravvive ovviamente alla genesi particolaristica
che l'ha prodotta. Tuttavia la dialettica fra genesi (sempre particolaristica) e
validità (talvolta universalistica) sfugge per principio a tutte le culture
relativistiche, storicistiche e sociologistiche, come la cultura del ceto
politico post-comunista ed il suo codazzo di pedagogisti futuristi e di
burocrati, sia di dialetto ministerialese che di dialetto sindacalese.
Il liceo europeo, proprio per la stretta fusione fra componente illuministica e
componente romantica che lo ha costituito, non consente nessuna controversia
sulla presunta superiorità di una preferenza culturale. Ad esempio il vecchio
liceo austro-ungarico, che fu storicamente una delle forme più alte del liceo
europeo, era caratterizzato da un ottimo insegnamento e da un ottimo
apprendimento delle scienze naturali. Nei suoi scritti di pedagogia Hegel fa
notare che lo sviluppo delle capacità intellettuali avviene sia sul terreno
della matematica sia sul terreno della traduzione dalle lingue classiche (cfr.
Hegel, La scuola e l'educazione, Franco Angeli 1985). È interessante che uno studioso di scienze naturali come Luca Cavalli Sforza abbia fatto notare che
"... fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è
stata l'attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione
di ciò che è sconosciuto"
(cfr. La Repubblica, 27 novembre 1993). Le
citazioni potrebbero essere moltiplicate, ma non è il caso di farlo, perché
girano tutte intorno ad uno stesso punto. Ed il punto è questo: non c'è alcuna
gerarchia di valore fra latino e matematica, fra greco e fisica, fra filosofia e
biologia, fra storia e chimica; non ha alcun senso confondere il carattere
critico dell'apprendimento liceale e quello specialistico dell'apprendimento
universitario; ha invece senso ribadire la peculiare natura della licealità,
che è figlia della paideia greca, della raison illuministica e della Bildung
romantica, e che è in effetti incompatibile con la velocità e la flessibilità
operazionale esaltate dal distruttore Maragliano, e che sono rivolte a
distruggere la natura educativa sia del greco che della fisica, come ad esempio
sia Lucio Russo sia Fabrizio Polacco capiscono perfettamente.
4. La riforma Gentile del 1923. Una interpretazione limitativa del Liceo
Europeo.
La riforma che prende il nome da Giovanni Gentile del 1923 fu una buona
riforma, onore della scuola italiana e più in generale punto alto della nostra
cultura nazionale. Questo è un giudizio di fondo che è bene esprimere in modo
chiaro senza opportunismi linguistici. Non intendo affatto negare che essa fu
storicamente resa possibile dal decisionismo mussoliniano, che offrì a Gentile
la possibilità di tagliare con la spada i nodi aggrovigliati di decenni di
dibattito pedagogico fra il partito dei positivisti ed il partito dei
neoidealisti. Ma appunto per questa ragione sarebbe sciocco identificare questa
riforma con il regime fascista in quanto tale, oppure vederla come momento di un
solo nodo reazionario e controrivoluzionario. La riforma Gentile non fu in
nessun modo una risposta borghese o piccolo-borghese alla rivoluzione russa del
1917, e lo dimostra tra l'altro uno studio spassionato delle politiche
scolastiche sovietiche negli anni Venti e Trenta, che oscillarono fra modelli
diversi e spesso antagonistici. E questo non è un caso, perché lo sciocco
economicismo della Seconda Internazionale aveva celebrato i suoi peggiori
trionfi nell'indifferenza e nella trascuratezza con cui (non) aveva affrontato
la questione scolastica e culturale nel suo complesso.
Il fatto che le strutture essenziali della riforma Gentile del 1923 siano
sopravvissute al fascismo e siano durate fino a questa fine del Novecento è
indubbiamente un buon argomento contro chi vuole diffamare la riforma Gentile
identificandola con il fascismo. Nelle sue linee essenziali, il liceo gentiliano
è stata la dignitosa variante italiana del liceo europeo, ed uno dei pochi
prodotti positivi della nostra cultura nazionale novecentesca. Certo, chi nega
persino la pertinenza della paroletta nazionale non potrà neppure capire le
ragioni di questo giudizio.
Detto questo, è bene aggiungere subito che la riforma Gentile nasceva con
alcuni equivoci e con alcune debolezze filosofiche (si noti bene: filosofiche,
non pedagogiche) legate al tipo di idealismo storicistico dello stesso Gentile,
e della sua interpretazione limitativa della nozione di concetto (Begriff) in
Hegel, con la correlata negazione dello statuto conoscitivo del concetto
scientifico. In questo modo, anziché stabilire fin dall'inizio, come sarebbe
stato auspicabile ed opportuno, un'immediata pari dignità fra liceo classico e
liceo scientifico, si prendeva la via sbagliata della diversa dignità, e della
conseguente sciagurata derubricazione del liceo scientifico (e qui, a mio
avviso, si pagava l'errore della connotazione del concetto scientifico come
pseudoconcetto). Il gigantesco ruolo educativo delle lingue classiche (latino e
greco) non aveva, e non ha tuttora, nessun bisogno, per essere legittimato e
difeso, di un'inutile e dannosa derubricazione della matematica e delle scienze
naturali. Nello stesso modo fu un grave errore la trascuratezza verso
l'insegnamento delle lingue moderne, e particolarmente verso le modalità
libresche con cui venivano insegnate. In più, ebbe certamente uno sciagurato
carattere di classe (più piccolo-borghese che borghese) la chiusura di ogni
possibilità di accesso universitario per i migliori studenti delle scuole
tecniche, una possibilità felicemente prevista prima del 1923. Nello stesso
modo, si possono fare molte altre critiche di dettaglio alla riforma Gentile,
una riforma che soffriva pur sempre di un angusto provincialismo tipico di quel
periodo storico.
È assolutamente evidente che non ha alcun senso la difesa attuale della riforma
Gentile del 1923. Ma è bene riconoscerne storiograficamente la statura
culturalmente dignitosa, appunto perché questo riconoscimento preliminare è la
precondizione per poterla poi criticare non solo nei dettagli applicativi, ma
anche in alcuni vizi di fondo prima ricordati. Se invece si sceglie un
atteggiamento riduttivamente politicistico, si mettono le basi di un luddismo
distruttore che all'inizio si presenta come egualitario, popolare, classista e
proletario, e poi si rivela semplicemente il cavallo di Troia di una
modernizzazione ultracapitalistica. Ed è appunto la triste storia del presente.
5. Un fenomeno storico sconcertante: il suicidio sindacalistico e mimetico
della piccola borghesia intellettuale italiana dopo il Sessantotto.
Questo quinto paragrafo è il più filosofico di questo breve saggio, e
richiede al lettore un'attenzione particolare. Si tratta della strana storia di
un declassamento consenziente, di un orgasmo luddistico protratto oltre ogni
vergogna. Eppure, se si riesce a comprenderne la logica di sviluppo, ciò che
avviene oggi non apparirà più strano ed incomprensibile, ma comincerà a
diventare un oggetto conoscitivo dai profili visibili. In caso contrario, la
riforma Berlinguer continuerà a sembrare uno strano enigma storico.
Per cominciare con il piede giusto, bisogna rilevare una peculiare eccezionalità
storica italiana dopo il 1945. In estremissima sintesi, per quasi mezzo secolo
si stabilizzò una situazione particolare, che vedeva il potere economico e
politico in mano alla destra (o più esattamente al centro-destra), ed il potere
culturale saldamente ispirato dalla sinistra, compresa soprattutto la sinistra
comunista italiana, cioè il togliattismo, versione italiana monopolistica dello
stalinismo, la principale variante del comunismo storico novecentesco (abbiamo
detto storico, non onirico). Questa situazione anomala venne interpretata
ideologicamente con la categoria di egemonia, tratta dai quaderni di ricerca di
Antonio Gramsci in carcere, perché questa categoria ideologica sembrava fatta
apposta per consentire speranze di vittoria in chi era impotente economicamente
e politicamente, ma sembrava appunto egemone culturalmente. A questa
autoillusione egemonica si univa una visione storicistica del tempo storico, per
cui il presente storico era interpretato come un processo a tre stadi:
capitalismo arretrato o reazionario / capitalismo modernizzato o progressista /
socialismo e poi comunismo (onirico). In questo modo la lotta egemonica per la
modernizzazione capitalistica era letta in chiave di avvicinamento temporale al
socialismo e al comunismo.
La doppia teoria ideologica dell'egemonia e della modernizzazione
(capitalistica) configurava l'identità del togliattismo-berlinguerismo, la
variante italiana del baraccone comunista storico novecentesco. È bene capire
subito che il modello di società di questo baraccone era contemporaneamente
ispirato alla gerarchia ed al livellamento. Era ispirato alla gerarchia, perché
la società era concepita come una piramide dominata da un Moderno Principe
costituito da politici di professione, tecnocrati, professori universitari,
intellettuali organici, artisti progressisti ed altri rappresentanti del popolo.
Era ispirato al livellamento, perché sotto questa crosta di élite
politico-culturali dominanti si concepiva solo una immensa massa livellata,
egualizzata, sindacalizzata, organizzata e proletarizzata. Questo livellamento
gerarchico era particolarmente ostile ai ceti medi, per definizione
difficilmente organizzabili, laddove ai veri ricchi ed agli industriali era
riconosciuta una ricardiana funzione produttiva.
Ricapitoliamo dunque i due elementi fondamentali della situazione storica, che
sono la separazione di potere economico e di potere culturale e soprattutto il
modello di livellamento gerarchico del togliattismo-berlinguerismo, versione
italiana egemone dello stalinismo. Ricapitolati questi due elementi,
applichiamoli ora al mondo della scuola. E ne avremo allora un modello
economicistico di vero e proprio odio verso il liceo gentiliano, correttamente
individuato come un mostruoso riproduttore di piccola borghesia e di ceto medio
non organizzabile e soprattutto non moderno, nel senso della modernizzazione
capitalistica, ed un modello sindacalistico di voluta proletarizzazione degli
insegnanti (dai professori di liceo alle maestre d'asilo), con consapevole
eccezione per il corpo insegnante universitario, che nella merdosa concezione
del livellamento gerarchico fa parte della élite dominante culturalmente
egemone.
Ci siamo un po' soffermati su questo quadro fangoso, perché in caso contrario
molte cose apparirebbero incomprensibili. Ad esempio è interessante studiare
l'accoglimento della famosa Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani.
Si tratta (per chi lo ha letto, e chi scrive lo ha letto molte volte con grande
attenzione) di un vero e proprio testo mistico, di un esercizio spirituale
pienamente religioso, che propone un modello di comunità scolastica
estremamente autoritario, a coinvolgimento 24 ore su 24, in cui la ribellione
pauperistica contro il modello della cultura come privilegio di classe è spinta
fino alla maledizione profetica. Ebbene, questo testo mistico-autoritario,
opposto di 180° allo spirito del Sessantotto, venne letto in modo sessantottino
come un lungo grido di odio luddistico contro gli insegnanti piccolo-borghesi
(di merda) e soprattutto contro i Pierini primi della classe (di merda). Questi
fraintendimenti pittoreschi non sono mai casuali, perché rivelano sempre lo
spirito del tempo.
I portatori del modello sociale della modernizzazione e del livellamento
gerarchico ebbero buon gioco a egemonizzare l'enorme ectoplasma sociale degli
insegnanti italiani, intellettuali-massa per eccellenza, offrendo loro i due
modelli economicistici della proletarizzazione e della sindacalizzazione come
risposte aggiornate, progressiste e moderne al problema della loro oggettiva
crisi di identità e di ruolo sociale. Tutto questo innescò un tragicomico
suicidio mimetico della categoria degli insegnanti, proprio mentre i fautori del
livellamento gerarchico innalzavano la upper class formata da manager politici,
borghesia di stato, docenza universitaria, magistratura ed altri apparati
ideologici primari.
Ecco, è questa in breve la radiografia della situazione. A partire dagli anni
Settanta il liceo europeo cominciò a perdere di legittimazione culturale ed a
morire, proprio quando cominciavano ad arrivarci i figli delle classi popolari.
Ma non diamo la colpa al popolo. Non sono certamente i figli degli operai che
hanno involgarito il liceo europeo. Non diciamolo neppure per scherzo. No, il
pesce cominciò a puzzare dalla testa, non dalla coda. Senza diagnosticare la
causa principale della malattia nel modello economicistico di livellamento
gerarchico, premessa storica e culturale dell'attuale riforma Berlinguer, non si
capisce nulla, ma proprio nulla, ma assolutamente nulla di quanto sta accadendo.
6. La scuola del pensiero unico, del monoteismo di mercato e del modello
dell'impresa.
Dopo aver fatto questo richiamo storico-filosofico, possiamo finalmente
arrivare al 1999 ed alla riforma Berlinguer muniti di alcune ipotesi
interpretative di lungo periodo, e non solo schiacciate sui pettegolezzi
politici dell'attualità. È necessario tuttavia disfarsi ancora di due
pregiudizi tipici della cosiddetta cultura di sinistra politicamente corretta
(l'unica che ha accesso ai media rivolti a persone di una certa kual kultura),
che definiremo la sindrome Dario Fo e la sindrome Nanni Moretti. La sindrome
Dario Fo consiste in ciò, che i vertici direzionali e decisori del capitalismo
vengono individuati in pescecani e paperoni alla Silvio Berlusconi, dotati di
dieci ville ai Caraibi, forchette d'oro, bevande di sangue umano proletario e
lavandini d'argento, per cui si pensa poi di essere contro il capitalismo se si
rifiuta il modello estetico di Berlusca. La sindrome Nanni Moretti consiste in
ciò, che si continua a gridare "sinistra, sinistra!", a chiedere alla
sinistra di essere veramente di sinistra, a stupirsi se la sinistra non fa cose
di sinistra ma per caso fa cose di destra, a invocare la Vera Sinistra che non
si vede mai, ed infine a pensare che la comprensione del mondo sia direttamente
proporzionale al numero di volte in cui la parola sinistra è ossessivamente
evocata. Ma le sindromi Dario Fo e Nanni Moretti sono solo il vischioso residuo
inerziale della situazione della Prima Repubblica Italiana (1946-1991), in cui i
poteri economico-politico e culturali erano ancora divisi, ed il potere
culturale stava all'opposizione. Ma oggi, negli anni Novanta, non è più così.
Oggi i tre poteri economico, politico e culturale sono finalmente uniti, e per
questo sono molto più forti che in precedenza (ad esempio, possono affossare il
liceo europeo). Il cinico avvocato Agnelli di Torino lo ha del resto detto con
grande chiarezza, dichiarando che solo la sinistra può oggi fare cose che la
destra non riuscirebbe mai a fare, e solo confusionari cronici e recidivi come
Dario Fo e Nanni Moretti possono non avere ancora capito una cosa che è alla
portata persino del popolo del Gratta e Vinci e del Superenalotto.
La forma sociale ed economica dell'azienda e dell'impresa, cellula del moderno
capitalismo globalizzato, può essere infine portata in ambiti sociali in cui
fino ad oggi non aveva ancora potuto essere portata, ad esempio nel glorioso
liceo europeo protoborghese. Abbiamo detto che la cellula della produzione
capitalistica è l'azienda-impresa, non certo la fabbrica, come per decenni
hanno sostenuto in Italia gli operaisti confusionari, con il bel risultato di
non capirci nulla di quanto stava accadendo. Ed infatti non si tratta certo di
portare la forma-fabbrica nella scuola, quanto di portarci la forma
dell'azienda-impresa. Il personale politico post-comunista, nichilista e
ricattabile, è particolarmente adatto per questo passaggio storico.
Tutto ciò è visibile ad occhio nudo in mille particolari, ma è forse
l'esempio del nuovo preside-manager il più rivelatore e significativo. Per
quasi due secoli la figura del preside del liceo europeo è sempre oscillata fra
tipi umani assolutamente non-imprenditoriali, dal notabile di provincia di rango
simile a quello del farmacista o del medico condotto al vecchio umanista
paterno, dalla figura grottesca del caporale alla Totò che voleva esercitare la
sua autorità non solo su indifesi adolescenti ma anche su riluttanti colleghi
coetanei fino al profilo microprefettizio di burocrati vocazionali. Ma oggi
questa figura non-imprenditoriale e microprefettizia deve essere assolutamente
sostituita, perché la scuola-impresa-azienda non saprebbe più che farsene.
Oggi è necessario produrre in modo professionale una figura di manager del
territorio, che si disputi con altri manager di questo tipo gli
studenti-clienti, attirandoli con offerte speciali, e nello stesso tempo
ricerchi con successo i finanziamenti e le sponsorizzazioni private presenti nel
territorio circostante. Al modello moderno del tempo dell'educazione succede il
modello post-moderno dello spazio del territorio-risorsa da valorizzare (cfr.
gli studi di David Harvey, ma anche più provincialmente C. Preve, Il tempo
della ricerca, Milano 1993, p.171). Il bando di gara per la formazione
manageriale dei presidi italiani del 6/10/1998 è stato concluso in tempi
manageriali, non nei tempi borbonici cui la burocrazia scolastica era
precedentemente abituata. I privati, Confindustria in testa, hanno fatto la
parte del leone. Il preside Giorgio Rembado, presidente dell'associazione
nazionale presidi, è entusiasta di questa nuova via manageriale, anche perché
vi vede correttamente la possibilità per la sua categoria di accedere all'area
della dirigenza. E questo non deve stupire, se ci si ricorda dell'immagine
sociale di tipo gerarchico-livellatore precedentemente coltivata per mezzo
secolo dal ceto politico restato sostanzialmente stabile nelle sue tre fasi
metamorfiche successive veterocomunista, neocomunista e postcomunista.
La scuola del pensiero unico ultracapitalistico può finalmente assumere la
forma dell'azienda-impresa. Certo, mille attività ausiliarie erano già da
tempo svolte nella forma dell'azienda-impresa, dall'adozione dei libri di testo
propagandati dalle case editrici all'acquisto di attrezzature e computer, dai
viaggi scolastici d'istituto agli appalti per le imprese di pulizia, eccetera.
Ma il nucleo portante del liceo europeo sfuggiva ancora, nel suo modello
riproduttivo, al modello dell'azienda-impresa (così come, per altri aspetti, il
modello della riproduzione biologica umana, oggi sempre più affidato allo
scambio libero fra clienti aspiranti ed industria biotecnologica). È giunto il
momento per i sicari-maggiordomi, e per i loro padroni oligarchi finanziari, di
ovviare a questa spiacevole arretratezza.
7. Il cavallo di Troia: il nuovo esame di maturità.
Il nuovo burocrate postmoderno e postcomunista, per essere precisi, ha
abolito per decreto il glorioso termine di Maturità, facendolo scomparire e
sostituendolo con un anonimo nuovo esame di stato. Ma qui vi sono almeno due
diversi furfanteschi inganni. In primo luogo, il vecchio termine di Maturità (Mundigkeit)
risaliva addirittura al vecchio Kant del 1784, e non aveva nessun carattere
classistico, ma pienamente universalistico, cioè illuministico. Esso intendeva
significare che la maturità non consiste nella vecchiaia anagrafica o
nell'anzianità, ma consiste nell'indipendenza e nell'autonomia di pensiero, per
cui il diciottenne che acquisisce questa indipendenza e questa autonomia critica
di pensiero è appunto maturo. Si noterà che qui si uniscono felicemente le due
componenti illuministica della autonomia critica di pensiero e romantica della
valorizzazione della gioventù e del ringiovanimento del pensiero (Verjungen).
È normale che nichilisti ricattabili come Luigi Berlinguer aboliscano questo
richiamo critico del pensiero, legato al termine di Maturità, perché i loro
nuovi padroni, gli oligarchi finanziari, non hanno bisogno di una lenta cultura
critica, ma di una veloce cultura flessibile di consumatore (e si vedano le
considerazioni di Lucio Russo nel già citato ottimo Segmenti e Bastoncini).
Ma vi è un secondo punto da rilevare in questa mistificazione. Proprio mentre
si abolisce in modo suicida e luddistico il vecchio sensatissimo termine di
Maturità e si parla solo sobriamente di esame di Stato, proprio ora lo stesso
esame di stato viene abolito, nel senso che vengono distrutti quegli elementi di
omogeneità formale e di universalità che fanno appunto di un esame di stato un
esame di stato (e si veda nei dettagli la cosiddetta Terza Prova, eccetera).
Tutto questo non è peraltro per nulla casuale. Il fine dei riformatori, in
pieno accordo con una concezione integralmente mercatistica di domanda-offerta
fra individui flessibili ed aziende-imprese, è l'abolizione di ogni valore
legale dei titoli di studio. Per il momento non vi sono ancora le condizioni
politiche per ottenere questo risultato, ma non si può negare che un buon passo
avanti in questa direzione lo si può compiere con l'aumento della casualità e
la diminuzione della omogeneità nelle prove d'esame. Nel contesto di una
cosciente distruzione degli stati nazionali in favore di un cosmopolitismo
aziendalistico integrale non è infatti opportuno lasciare ad una istanza
politico-culturale separata (la struttura scolastica) ciò che deve essere
sovranamente giudicato dalla sola istanza economica consentita
(l'azienda-impresa).
Berlusconi non ci sarebbe riuscito, e non certamente perché questo pescecane ci
tenesse alla cultura classica o all'illuminismo (che sostituirebbe
immediatamente con spot pubblicitari se questo gli rendesse qualcosa), ma perché
il suo esclusivo interesse a tenersi Canale 5 ed a non farselo prendere dal
pescecane Cecchi Gori appoggiato dall'Ulivo avrebbe fatto sì che non avrebbe
osato toccare un meccanismo economicamente indifferente, per non attirarsi
addosso inutili guai. Ma invece Berlinguer, erede del processo segnalato nel
quinto paragrafo di decennale suicidio mimetico-proletario e sindacalistico
della categoria degli insegnanti, è in grado di attuare questa operazione. Per
la loro conoscenza del territorio, e per il trovarsi già sul luogo, i
maggiordomi sono i killer ideali.
8. Il giovanilismo burocratico, i pulcini partitici e la competenza
specifica in materia di superficialità.
Finora non abbiamo ancora parlato dei giovani e degli studenti, che sono pur
sempre i destinatari della distruzione postmoderna del liceo europeo moderno. E
non l'abbiamo fatto appunto perché la categoria dei giovani, se non vuole
essere una categoria puramente anagrafica, biologica o sociologica, ma vuole
essere anche una categoria storica e politica, deve essere usata con molta
cautela e con molta sobrietà, cosa che i giovanologi demagogici non fanno
ovviamente mai. In estrema sintesi, la società italiana dopo il 1945 ha
conosciuto soltanto due movimenti storico-politici di giovani, il 1968 ed il
1977, e dopo più nulla. Il movimento del 1977 è stato dunque l'ultimo
movimento storico-politico di giovani della storia italiana contemporanea. Dopo
questa data le periodiche fiammate rituali (movimento del 1985, la Pantera,
eccetera) sono state nell'insieme solo episodi gonfiati dal ceto giornalistico
di sinistra. La categoria dei giovani è una categoria che segnala oggi
un'assenza storico-politica, non una presenza. Naturalmente, la forza biologica
dei giovani è tale che in qualunque momento, senza previsioni possibili, i
giovani possono sempre irrompere in modo inaspettato sulla scena
storico-politica. Tutte le stucchevoli inchieste sociologiche sui giovani
apolitici, ripiegati sulla famiglia e sui gruppi amicali, sportivi, musicali e
di volontariato, angosciati dalla disoccupazione e dall'AIDS, eccetera, possono
saltare in una settimana di fronte al formarsi aleatorio di un insieme di
congiunture storiche inaspettate.
In ogni caso, ripetiamo che tutti i discorsi tromboneschi e reazionari sulla
cosiddetta scuola facile dei tutti promossi e del voto politico che avrebbe
sostituito la vecchia scuola seria di prima del 1968, e più ancora
sull'involgarimento dovuto all'accesso dei giovani di origine popolare, operaia
e proletaria restano sciocchezze. E diciamo questo non per pagare l'obolo dovuto
alla cultura politicamente corretta della sinistra, da cui siamo completamente
estranei, ma per il semplice fatto che questa valutazione aristocratica è
completamente falsa, scambia l'effetto con la causa, inverte la logica dei fatti
e funziona come semplice feticcio ideologico, e non come canone di spiegazione
storica. È naturale che a 16 anni si preferisca una scuola facile, che lascia
più tempo per la musica, il calcio, i rapporti amicali e sociali, gli hobby,
eccetera. Ma questa banale ovvietà non significa che ci sia stato veramente un
movimento politico giovanile per una scuola azzerata, sia nel 1968 che nel 1977.
Anzi, chi frequenta veramente i giovani sa perfettamente che nella loro
stragrande maggioranza essi preferiscono una selezione di tipo meritocratico (i
cosiddetti voti dati con giustizia e non in modo arbitrario da professori
distratti e prevenuti), piuttosto che una selezione legata alla cooptazione
politico-mafiosa, estranea al rendimento scolastico. Il cosiddetto voto politico
ed il cosiddetto voto unico non sono stati il frutto di un movimento politico
giovanile e studentesco, ma sono prevalentemente stati un momento di sbandamento
ideologico che è venuto dall'alto e non dal basso, cioè dal corpo insegnante
di sinistra influenzato dal livellamento gerarchico dello stalinismo italiano.
Ma chi sono oggi i giovani politicamente espressivi? Sono un gruppo esilissimo
ed assolutamente non rappresentativo di pulcini partitici allevati in batteria
per essere la prossima classe politica, che incarnano una (orrida) figura dello
spirito che potremo definire giovanilismo burocratico. Il loro modello politico
è Walter Veltroni, l'uomo che cerca l'identità etica italiana in Kosovo ed in
Birmania, il raccoglitore delle figurine Panini, l'uomo che ha nel suo studio i
due ritratti di Berlinguer e di Kennedy, l'uomo per cui Dante Alighieri e
Benigni sono entrambe risorse per il turismo toscano e per il look dell'Italia
all'estero. Il loro modello culturale è Umberto Eco, il vorace chiacchierone
tuttologo in cui la vertigine semiologica superficiale ha nichilisticamente
dissolto ogni profondità. Più in generale l'unione delle figure di Veltroni e
di Eco porta a quella figura spirituale ed a quella nuova professionalità che
lo studioso americano Fredric Jameson ha definito competenza specifica in
materia di superficialità, la capacità veloce, flessibile ed in tempo reale di
parlare di Gorbaciov, Dulbecco, Raffaella Carrà, la deriva dei continenti, i
giochi a premio e la fine del comunismo. Certo, questo è dovuto anche, direbbe
Benjamin, alla perdita dell'aura dell'unicità letteraria ed artistica. Si
tratta di un tipo di cultura dell'epoca della riproduzione, della clonazione, ma
anche della riduzione totalitaria a forma di merce vendibile di tutti gli enti,
come si dice in pomposo linguaggio filosofico.
Il giovanilismo burocratico dei pulcini politici delle commissioni giovanili dei
partiti si nutre di questa cultura, ed ha appunto come modello la competenza
specifica in materia di superficialità, da spendere (una vera risorsa
spendibile) nelle tavole rotonde e nei talk show mediatici. È per questo che la
nuova maturità berlingueriana piace a questi pulcini politici. Essa permette di
partire dai propri interessi, di proporre articoli di giornale e testi teatrali
(e scommettiamo che tutti si improvviseranno Brecht, Shakespeare ed Alfieri,
tanto ogni dialogo è eguale ad un altro, e siccome Dio è morto, non esiste più
Dio a valutarne la qualità), di avanzare crediti formativi (interessante questo
linguaggio da bancari) di ogni tipo. È il trionfo del casino creativo,
dell'improvvisazione, della velocità di riflessi (in un dialogo di un'ora si
parlerà di tutte le materie in programma a partire da un argomento, magari
esistenziale, scelto dal candidato). È appunto il modello culturale dei pulcini
politici delle commissioni giovanili di partito, cioè di partiti
macchina-pigliatutto senza più obsoleti riferimenti ideologici. Si tratta di
pura superficie senza alcuna profondità, un modello culturale che danneggia
tutti i giovani seri, timidi, un po' imbranati ma profondi ed esalta i
farfalloni e le farfalline. Intanto, ciò che conta veramente non sarà
esaminato qui, ma verrà valutato sulla base di master post-universitari pagati
dalle famiglie in costosissimi stage di lingua inglese. L'innocuo casino
creativo è riservato ai centri sociali che verranno sempre più ricavati nelle
vecchie strutture dei venerandi ed aboliti licei europei.
9. Le conclusioni fra pessimismo della volontà ed ottimismo
dell'intelligenza.
È giunto il momento di stringere, cioè di chiudere. Prima, però, regalerò
al fedele lettore un breve intermezzo autobiografico. Il lettore munito di
elementari rudimenti di analisi stilistica potrebbe essere portato a pensare che
lo scrivente odi tipi umani alla Luigi Berlinguer, prodotti clonati della
decadenza tosco-emiliana del comunismo storico novecentesco, e che questo odio
non viene neppure nascosto. Ebbene, il lettore avrebbe ragione. È vero che la
mamma e la nonna mi hanno insegnato a non odiare nessuno, e che lo stesso odio
è pur sempre un sentimento forte e dignitoso, che questi banali burocrati
postcomunisti non meritano, perché la loro banalità non suscita che disagio e
curiosità. Ma a fianco del disagio e della curiosità vorrei indicare anche un
innocuo ricordo personale. Tornato dagli studi all'estero circa trent'anni fa
avevo deciso di non scegliere in alcun modo una professione che implicasse
comunque un'attività di tipo capitalistico-aziendale-imprenditoriale, anche se
questo avesse implicato bassi stipendi, eccetera. Certo, nessuno può scegliere
il modo di produzione in cui vivere, visto che uno vi è gettato (ausgeworfen).
Ma anche nello schiavismo si può sempre fare il filosofo, e nel feudalesimo il
monaco. Nel capitalismo vi sono pochissime attività non aziendali, come il
medico di base, il viaggiatore esotico ed il professore di liceo. Non potendo
fare il medico di base per mancanza di un titolo di studio specifico, ed il
viaggiatore per mancanza di soldi e paura dello sradicamento, mi restava solo il
professore di liceo, stupenda attività senza aziendalità, senza
imprenditorialità, eccetera. Ebbene, proprio ora, alle soglie della pensione,
questi politici postcomunisti, diventati maggiordomi degli anonimi mercati
finanziari, mi costringono a fare ciò che trent'anni fa pretoni democristiani e
massoni laici non avrebbero mai osato concepire, il Gioco del Piccolo
Imprenditore Scolastico, dei debiti e dei crediti formativi, della scuola
azienda di offerta culturale nel territorio, della corsa fantozzesca agli
stipendi differenziati per recuperi, corsi di aggiornamento, cordate di
istituto, eccetera. È vero che non lo farò comunque, anche se (a differenza di
Cacciari) non sono ricco di famiglia, e dovrò fare almeno un poco il pagliaccio
per quieto vivere e per lo stipendio mensile. E qui chiudo l'intermezzo
autobiografico: non odio Berlinguer ed i suoi scagnozzi, perché essi non
meritano purtroppo un sentimento tanto nobile, fecondo e vivace. Ma è indubbio
che un'incontenibile ripugnanza fa da molla personale alle mie osservazioni. Del
resto, chi pensa che la radice psicologica personale ed il suo svelamento
annullino la pertinenza di un'analisi storica e culturale dovrebbe essere
costretto a seguire un corso di aggiornamento obbligatorio (con crediti
esigibili) sul nesso fra genesi biografica e psicologica e validità
scientifica, letteraria e filosofica. E passiamo ora ad alcune oneste
conclusioni teoriche di questo discorso scolastico.
In primo luogo, mi sembra poco realistico, ed anzi francamente irrealistico,
pensare ad un arresto al processo di distruzione del liceo europeo in Italia. Si
sono mosse forze sistemiche gigantesche, che pochi kamikaze non potrebbero certo
arrestare. Chi scrive è stato animatore di uno dei pochi casi (forse l'unico)
di disobbedienza civile in Italia (Liceo scientifico Volta di Torino), in cui la
maggioranza del corpo insegnante aveva inizialmente rifiutato di fare gli
adempimenti preparatori di questa maturità berlingueriana. Trenta o quaranta
iniziative di questo genere in Italia non avrebbero certo potuto fermare il
rullo compressore della fase postmoderna della modernità, ma avrebbero almeno
potuto costringere il ceto politico postcomunista e il suo codazzo di
pedagogisti pazzi, sindacalisti, manager, eccetera, a ricontrattare le modalità
pratiche della riforma con gli insegnanti normali. Ma gli insegnanti normali
hanno scelto la facile via del mugugno, del pensionamento anticipato per
disgusto, delle proteste platoniche senza impegno di disobbedienza civile,
eccetera, mostrando così di non essere, di non poter essere e di non voler
essere un fattore culturale di rilievo storico-politico. Personalmente, provo un
forte pessimismo della volontà, nel senso che non ho nessuna voglia di
imbarcarmi in inutili donchisciottismi per una causa perduta. Nello stesso
tempo, coltivo un certo ottimismo dell'intelligenza, non certo in un fantomatico
soggetto sociale demiurgico (che non si vede all'orizzonte), ma nella buona e
vecchia natura umana alla Noam Chomsky. Mi spiego meglio. Non credo che la
resistenza attuale, impotente e confusa, alla distruzione del liceo europeo
possa impedire questo processo, ormai avviatosi come una carica di elefanti
rincoglioniti ed impazziti. Ma credo che la resistenza residuale che ora ed in
futuro non mancherà di verificarsi, lungi dall'essere una inutile testimonianza
alla memoria, sarà uno dei primi elementi storico-culturali effettivi per una
futura (e forse non poi tanto lontana) lotta al profilo complessivo della
cultura della globalizzazione capitalistica. Per questo parlo di pessimismo
della volontà e di ottimismo dell'intelligenza, invertendo il noto detto di
origine gramsciana, che invece invita ad un masochistico attivismo politico a
tutti i costi pur in presenza di uno scetticismo totale sulle prospettive
storiche. La burocrazia postcomunista è nell'essenziale formata da noti falliti
e da incredibili incapaci. È possibile, anche se non sicuro, che tutto il
casino che sta piantando sulla base della sua tellurica incapacità e del suo
dilettantismo maneggione gli si rivolti contro.
In secondo luogo, sarà necessario superare i riti di sinistra della
contrapposizione fra laici e cattolici, fautori della scuola di stato e fautori
delle scuole di preti, che in mancanza di meglio riproducono i loro riti
identitari. È vero che, come correttamente segnalano i film di zombie e di
vampiri, a volte ritornano. E ritornano gli appelli di tromboni e confusionari,
giornalisti del Palazzo e pasionarie dei salotti, politici trombati e vestali
della laicità, ad incitare giovani dipinti e saltellanti a contestare le scuole
dei preti e delle suore. I giornalisti amano molto questi spettacoli, come i
gatti amano il pesce ed i pedofili gli asili infantili. È un bellissimo
spettacolo generazionale, denso di musica a tutto volume e di girotondi
tardoinfantili, dell'eterno scontro fra Oscurantismo e Ragione, Fede e Scienza,
Destra e Sinistra, incensi e spinelli, profumi e balocchi. Ma questo spettacolo
passa del tutto a lato del problema che abbiamo segnalato (la distruzione
contenutistica del liceo europeo), ed anzi contribuisce potentemente ad
oscurarlo. Ed appunto per questo viene inscenato.
In terzo luogo, e per finire, segnaliamo il punto forse più importante. La
questione scolastica italiana non è che un aspetto della più generale
questione nazionale italiana, e della possibilità di mantenere un profilo
culturale e sociale autonomo e distinto dall'americanizzazione totalitaria,
forma culturale essenziale dell'attuale totalitarismo flessibile transnazionale
ed ultracapitalistico. Devo dire con molto rincrescimento che l'unico leader
politico italiano noto che mostra di possedere i termini minimi della
consapevolezza della questione è il leghista Umberto Bossi. Ho detto "con
rincrescimento" perché Bossi imposta in modo limitativo la questione
riferita alla sola autodifesa delle microcomunità padane, laddove si tratta
anche e soprattutto di una questione nazionale italiana, che a Bossi non
interessa ed a cui è anzi ostile. Chi scrive è invece per la pertinenza e la
legittimità di una questione nazionale italiana (che non esclude, e non ha mai
escluso, e non escluderà mai la pertinenza di questioni sarda, friulana,
veneta, piemontese, eccetera), e dunque non può seguire Bossi su questo punto,
anche perché chi scrive non può culturalmente sopportare ogni tipo di retorica
celto-longobarda contro i cosiddetti "meridionali", e su questo punto
è impossibile fare concessioni, così come non si possono fare concessioni di
nessun tipo alla valorizzazione storiografica del fascismo fatta da Pino Rauti.
Tuttavia, è indubbio che Bossi almeno coglie i punti essenziali della questione
della resistenza all'americanizzazione. Il ventre molle culturale in cui l'americanizzazione
può invece passare è ovviamente la cosiddetta sinistra, senza distinzioni di
gradazione e di maggiore o minore estremismo. Per essere più precisi non si
tratta neppure del ventre molle, ma del vettore privilegiato. Come è noto, la
cultura alla il Manifesto sposa apertamente le demenziali posizioni che
risolvono la questione nazionale in invenzione razzista ed antioperaia della
malvagia borghesia ottocentesca. Tutta la cultura alla Bertinotti è esattamente
su queste demenziali posizioni, con in più la contraddizione pittoresca per cui
la questione nazionale è ammessa per kurdi, maya e messicani, ma per gli
italiani no. Più in generale il modello culturale della sinistra è il
deficiente transnazionale Daniel Cohn-Bendit, che vuole fondare l'identità
europea nel meticciato multicolore e nell'interventismo armato dovunque gli
intellettuali del suo tipo ritengano che sono stati violati i diritti umani. Ci
sarebbe da ridere, se queste posizioni non fossero alla lunga storicamente
pericolose, perché sembrano fatte apposta per suscitare nel medio periodo
reazioni sciovinistiche, razzistiche e più in generale fascistoidi. È evidente
che brevi saggi come questo non sono rivolti a giustificare simili possibili e
probabili reazioni, ma al contrario sono rivolti a prevenirle.
La questione scolastica è dunque un pezzo della questione dell'indipendenza
nazionale. Il modello di scuola-azienda-impresa che la riforma Berlinguer
propugna e sta realizzando è rivolto proprio contro un modello di scuola che si
faccia carico di questo problema. Si tratta di un modello deterritorializzato e
privo di anticorpi contro l'americanizzazione, che è anzi auspicata come
frontiera inevitabile della irresistibile modernità. Ma questo modello è fatto
apposta per perdere tutte le grandi conquiste della modernità illuministica e
romantica. Il ceto nichilista e ricattabile che lo sta imponendo per via
amministrativa, fra lo sconcerto e la sostanziale impotente passività della
maggioranza degli insegnanti italiani, è attualmente l'avversario principale di
tutti coloro che hanno una concezione adeguata dei problemi nazionali e
mondiali.
Costanzo Preve