Omeopatia: una fede


Premessa

I rimedi omeopatici godono di uno status unico sul mercato dei farmaci: sono gli unici prodotti con intenzioni curative che non hanno dovuto superare i controlli ministeriali per la registrazione come farmaci (studi clinici "in vivo" e studi "in vitro" per mostrare l'efficacia, l’attività e la sicurezza d’impiego) vendibili come medicamento. Questo stato di cose è il risultato di due circostanze .
La prima è il “Federal Food, Drug, and Cosmetic Act” del 1938. L’atto, perorato al Congresso da un senatore che era anche medico omeopatico, riconosce come farmaci tutte le sostanze incluse nella Pharmacopaeia Homeopathica degli USA.
Il secondo fatto è che la FDA americana non richiede per i prodotti omeopatici gli stessi standard richiesti agli altri farmaci, per cui sono venduti nei negozi di cibi naturali, negli studi medici e su Internet. Il principio di base per l'inclusione di un medicamento nella Farmacopea Omeopatica non è, appunto, il passaggio di moderni test scientifici, ma i "saggi" omeopatici condotti fra il 1800 e gli inizi del 1900. L'edizione corrente (la nona) descrive come vengono preparate per l’uso omeopatico più di un migliaio di sostanze. Tuttavia il fatto che le sostanze incluse nella Farmacopea Omeopatica siano legalmente riconosciute come farmaco non significa affatto che la legge o l’FDA ne riconoscanol’efficacia.
L’immagine della Omeopatia è quella di una medicina "dolce", "naturale", "tradizionale". Guardiamo il primo di questi termini:
  1. Dolce, utilizzato per far apparire dura la medicina moderna. Ma una tecnica medica non è né dolce né dura: essa è o non è efficace, appropriata.
  2. La qualifica di medicina naturale merita una maggiore attenzione. Innanzitutto perché si appoggia sull’idea che la natura è buona e le creazioni umane cattive. Poco importa l’eradicazione del vaiolo, la scomparsa della poliomielite, i progressi degli antiblastici e degli antivirali, e della terapia genica. Poco importa che i popoli ancora privi dei progressi della medicina sopravvivono in condizioni disastrose con una speranza di vita due volte più debole della nostra.
  3. È infine una medicina tradizionale? La risposta è chiara: nasce di recente (fine del XVIII secolo) ed è dovuta all’illuminazione di un sol uomo, cosa che la fa appartenere al mondo delle sette piuttosto che ad una tradizione secolare.

(1) La natura dell’omeopatia

L’omeopata dichiara di far discendere la sua pratica da delle regole che non sono derivate dall’esperienza, ma vere di per sè:
IV lezione di J.T.Kent sull’Omeopatia, 1900, pubblicata sul " Journal of Omoeopathics":
"L’esperienza ha un suo posto nella scienza, ma si tratta solo di un ruolo di conferma. Essa può solo confermare ciò che è stato scoperto in base ai principi e alle leggi che hanno indicato la giusta direzione. L’esperienza non è di per sè fonte di scoperte, ma quando l’uomo possiede principi solidi, ciò che osserva attraverso l’esperienza può confermare il contenuto della legge. Chi non ha dottrine, né verità, né legge, chi non fa affidamento sulla legge in ogni circostanza, crede di compiere le sue scoperte in base all’esperienza".
Questa dichiarazione mostra che non siamo di fronte a una scienza ma a una religione. Ma se si tratta di religione allora non ci dobbiamo dare la pena di dimostrare niente: "Credo quia absurdum"...
A conferma della natura religiosa dell’omeopatia, Hahnemann, da Omeopatia, par 76:
"L'Onnipotente, creando l’Omeopatia, ci ha dato delle armi che è possibile usare solo contro le malattie naturali... "
Ancora Kent:
" La moderna fisiologia non prende in considerazione, nel suo insegnamento, una dottrina della forza vitale: perciò è priva di una base su cui lavorare. La dottrina della forza vitale non è accettata dai fisiologi e di conseguenza l’omeopatia constata come la vera fisiologia non venga ancora insegnata".


Si postulano dei principi, si danno per assolutamente veri, se ne deduce una costruzione che, per le leggi inferenziali, risulta essere anch'essa vera.

(2) L’unità corpo-mente

L’omeopata è convinto di essere l’unico a considerare il malato come un unicum corpo-mente, mentre lascia
all'allopata il puzzle delle varie malattie d’organo.
Sempre Kent, dalle solite lezioni, un testo basilare:
" La scuola ufficiale nega l'esistenza di principi e lo fa, apparentemente, per buoni motivi, considerando il problema dal punto di vista della prassi e del metodo dei propri seguaci. Questi si concentrano solo sugli esiti, si limitano ad osservare i risultati della malattia e negano di poter conoscere, o davvero non conoscono, la reale natura dell’uomo: che cos’è, da dove viene, qual'è il suo comportamento nello stato di malattia e di salute. Dell’uomo in sé non si occupano, se non per quanto riguarda i suoi tessuti: definiscono come malattia i cambiamenti tissutali e limitano ad essi il concetto di malattia: il suo inizio e la sua fine. ... È una sciocchezza affermare che il paziente non è malato prima della localizzazione della malattia. Non è forse evidente che questo paziente è malato, e per giunta gravemente malato, fin dall’infanzia? ... I tessuti non possono ammalarsi se, prima, non si è guastato qualcosa che li ha fatti ammalare. Che cosa, in questa persona, possiamo definire come uomo interiore? Che cosa è questo qualcosa che scompare con la morte lasciando solo ciò che è puramente fisico? Dobbiamo concludere che il malato debba risiedere in quella parte di sé che non viene abbandonata."

Sono ormai talmente note le correlazioni fra manifestazioni somatiche e psicologiche, note fino alla noia, che talvolta vengono addirittura sopravvalutate. È palesemente falsa questa idea che il medico convenzionale non consideri per principio l’uomo nel suo insieme.
Ma l’omeopata fa di più, postula l’esistenza di un "uomo interiore", un’anima che si ammala e fa ammalare il corpo; e questo sarebbe l’unico modo di ammalarsi. Una visione che si fonda su qualcosa di predeterminato e di indimostrabile.
Immagine interessante come metafora in campo letterario, ma inaccettabile nella scienza.
In ogni modo, da questi fondamenti discende la cosiddetta sperimentazione omeopatica.

(3) La Materia Medica

Ciò che costituisce la Materia Medica non è altro che una serie di descrizioni di sintomi dovuti alla somministrazione dei vari rimedi nelle persone cosiddette sane, cioè l’accoppiamento dei sintomi del paziente al corrispondente medicamento. Non si ragiona dunque sulle cause, ma sugli effetti .
Tuttavia il principio di similitudine è stato fatto tabula rasa dai progressi nella conoscenza delle malattie, e nessuna medicina realmente attiva ha mai verificato il principio di similitudine: Si può immaginare per esempio un antibiotico che riproduce su un uomo sano i sintomi della malattia che guarisce ? Nonostante questo, la cosiddetta sperimentazione dei rimedi, che costituisce la Materia Medica, nasce con Hahneman e prosegue indefinitamente fino ad oggi. In considerazione del metodo seguito, è perfettamente naturale che anche le più recenti sperimentazioni siano più o meno sovrapponibili a quelle di 200 anni fa. Nessuno può negare infatti che da Hahneman in poi ci si sia dedicati diligentemente a raccogliere una sterminata casistica sugli effetti dei vari rimedi su individui supposti sani. Ma il punto non è questo. Il punto è la interpretazione che viene data a questa raccolta di sintomi.
Per quale motivo i sintomi primari dovrebbero rappresentare la specificità della sostanza utilizzata non è chiaro.
Siamo di fronte ad una interpretazione basata su un’idea preconcetta e non mutuata da quella sperimentazione: l’idea che esista un "uomo interiore" che si ammala precocemente e che dà riacutizzazioni del proprio male ogni volta che si presenti una noxa patogena.
Quali prove ci sono di queste interpretazioni, se non quelle che si danno gli omeopati stessi, in una circolarità che fa naufragare tutto? Infatti in questa sperimentazione si vuol mettere alla prova una teoria (costituendo la Materia Medica) utilizzando i principi della stessa teoria che vogliamo mettere alla prova.
L’omeopata ortodosso prevede un solo medicamento per quella persona, quali che siano i suoi disturbi contingenti, e pensa che la totalità dei sintomi presentati siano il suo unico modo di rispondere agli stimoli esterni, di qualsiasi forma siano, compresi dunque i rimedi. Questa circolarità rende evidente la impossibilità logica di trovarlo, questo simillimum. Ma c’è dell’altro. Per giustificare queste affermazioni si chiama in causa una indimostrata legge di natura, soltanto supposta sulla base di una fede.
Infatti, par. 136 di Omeopatia:
" Nessun medicamento, di cui venga fatta la sperimentazione sull’uomo sano, può manifestare in un unico soggetto tutte le alterazioni soggettive e funzionali che esso è capace di mettere in evidenza in altri soggetti, dotati di una costituzione e di un temperamento differenti. Tuttavia non è meno vero che una legge eterna ed immutabile della natura ha conferito agli agenti medicamentosi la facoltà di provocare questi sintomi in tutti gli esseri umani".
Nel par. 116 la prova:
"La prova che ogni individuo è realmente sensibile a questi fattori patogenetici consiste nel fatto che tali fattori guariscono secondo la legge omeopatica, in tutti i malati i sintomi simili a quelli che provocano (sebbene li determinino esclusivamente nei soggetti idiosincrasici).
Ecco l’impossibilità logica.
Nonostante questo la sperimentazione viene fatta, e il suo risultato, nei vari repertori, non è altro che una noiosa elencazione di caratteristiche individuali, la maggior parte delle quali non classificabili come sintomi veri e propri, così disparate da essere del tutto slegate fra sé e assolutamente arbitrarie. La diagnosi è di fatto il riempimento di una scheda dove si trova il rimedio in base al numero delle caselle riempite.
Naturalmente si esclude l’unicista dalla possibilità di condurre una sperimentazione per l’obiezione già detta precedentemente, per motivi logici. Non resta altro che il pluralista, il quale invece pensa che l’individuo sano possa rispondere ai rimedi in maniera diversa per ogni rimedio. Dunque quella elencazione di disturbi avrebbe un senso. Se somministro un rimedio a dosi diluite mi dovrebbe curare quei sintomi che determina nel sano a dosi non diluite. Apparentemente niente giustifica questa ipotesi, sostanzialmente perché non ci viene spiegato nulla sul meccanismo d’azione di queste molecole.
Ma l’omeopata postula che il rimedio diluito, anche diluitissimo, abbia una sua azione in quanto la succussione trasferirebbe al solvente le proprietà medicamentose del soluto. Dunque anche se, ancora oggi, è sconosciuto il meccanismo d’azione, posso contare comunque sull’efficacia del farmaco diluito.

(4) La diluizione e la succussione

Non solo non è mai stato dimostrato niente del genere, ma l’unica volta che uno scienziato fino ad allora rispettabile ha voluto cimentarsi con una dimostrazione, il risultato è stato un fiasco, oppure, se vogliamo essere cattivi, una sorta di truffa, fortunatamente scoperta. Questo è il racconto dell’" affaire Benveniste ":

Tutto nasce il 30 giugno 1988, quando la prestigiosa rivista "Nature" pubblica un articolo sulla "degranulazione dei basofili umani indotta da una soluzione altamente diluita dell’anticorpo anti-IgE". Nella soluzione non era contenuta neanche una molecola di anticorpo, in quanto la soluzione era oltre la 12CH e secondo la legge di Avogadro (formulata nel 1811 ma accettata universalmente solo nel 1860 al primo congresso internazionale di chimica di Karlsruhe) oltre la 12 CH non si ha nemmeno una piccolissima molecola: infatti una diluizione alla dodicesima centesimale, cioè 12 CH, conterrà 0,6022 molecole. Nei 100 ml non resterà neanche una molecola. Per avere una dimensione di queste diluizioni basti pensare che una 30 CH equivale a diluire il grammo di sostanza iniziale in un volume di liquido pari a 74 milioni di miliardi di volte il volume del sole. Hahnemann non conosceva la legge di Avogadro, noi sì.

John Maddox,allora direttore di Nature, pubblica l’articolo ma non si dice convinto. Parte dunque accompagnato da due americani esperti in frodi scientifiche alla volta del laboratorio di Benveniste e pubblica un resoconto dell’ispezione con un titolo che non lascia adito a dubbi: " Alta diluizione, un’illusione". Inoltre, dulcis in fundo, Maddox stesso ha scoperto che la ricerca del biochimico francese è stata finanziata con i soldi di un’azienda di prodotti omeopatici. Ma anche lasciando perdere quest’ultimo fatto, non decisivo anche se getta una brutta luce sul prestigio del personaggio, Benveniste si giustifica dando la colpa allo stress ed accusa la scienza ufficiale di essere conservatrice. Nel 1992 lascia l’INSERM e la direzione dell’Unità 200, una delle maggiori istituzioni scientifiche francesi. Ma le istituzioni scientifiche non sono conservatrici e tantomeno chiuse al nuovo e al diverso, anzi sono curiose e senza preconcetti. Infatti Charpak, fisico e premio Nobel, nel 1994 ripete l’esperimento di Benveniste, con esito disastroso. Benveniste accusa ancora una volta la scienza ufficiale, ormai in preda a quello che Charpak definì " un delirio senza limiti". La polemica fu ripresa nel 1996, quando Le Monde ospita una libera opinione di Benveniste, in cui lo scienziato ripete le stesse accuse e si dichiara vittima di una persecuzione oscurantista. Charpak e Francois Jacob (altro premio Nobel) definiscono questo il "delirio di Benveniste”. A questo punto il problema si spostò: quando lo spazio dato da un media alle eresie scientifiche cessa di essere doverosa informazione e stimolo culturale, per diventare comunicazione-spazzatura ?

L’omeopatia va contro tutte le basi molecolari della moderna farmacologia: senza una molecola e un recettore, nell’organismo non si dà alcuna azione farmacologica.
Se l’omeopatia dovesse funzionare sarebbe grazie a qualche altro principio ancora sconosciuto alla scienza.
Dunque ancora oggi non abbiamo alcuna prova dell’effetto farmacologico di un’alta diluizione, e sulle diluizioni più basse, ricordando sempre Paracelso (è la dose che fa il veleno) e Aiazzi Mancini (medicamenti e veleni… si tratta delle medesime sostanze agenti a dosi e in condizioni differenti), osserviamo che i preparati omeopatici, per legge, non possono superare 1/100 della minima dose farmacologicamente attiva secondo la farmacopea medica. Allora cos'è che li fa funzionare, le succussioni? Le spiegazioni diventano fumose e diverse a seconda degli autori:

"Alla luce delle teorie della fisica moderna, il metodo della succussione provoca la liberazione dell’energia di un farmaco. L’intuizione di Hahneman concorda con il concetto di radiazione di Planck-Einstein: un frammento di materia, quando viene bombardata da una fonte esterna di energia, emette energia." (Franco Ferrari. " Il sotterranei della medicina" Tattilo edit. 1974, pag 16)
"Poiché le diluizioni devono essere accompagnate da vigorosa agitazione per osservarne gli effetti, la trasmissione dell’informazione biologica potrebbe essere correlata all’organizzazione molecolare dell’acqua." (J. Benveniste et al. " Human basophil degranulation triggered by very diluited antiserum against IgE" . Nature, 333, 816, 1988)
Nel 1996 fu pubblicata un’opera intitolata " Teoria delle alte diluizioni e aspetti sperimentali": vi si fa appello a dei "buchi bianchi" e a delle particelle denominate "iperprotoni", pretendendo di spiegare con essi l’azione delle diluizionii e succussioni omeopatiche. Peccato che queste nuove entità siano sconosciute ai fisici. Alla lettura di quest’opera il prof. Hennion, ricercatore alla Scuola Superiore di Fisica di Parigi, ha dichiarato: " Si tratta di un libro destinato ad ingannare il lettore, in quanto, per un uomo di scienza, è totalmente incomprensibile... O è una bufala o i quattro ricercatori sono completamente pazzi". (Scienza e vita, aprile 1997)

(5) I rimedi

Se è la diluizione-succussione a provocare l’attività, come mai non acquistano tale attività anche le impurezze ?
Immaginiamo quanti composti devono essere presenti, in quantità di una molecola o più, in ogni dose di un preparato omeopatico. Anche sotto le condizioni di preparazione più scrupolosamente sterili la polvere dispersa nell’aria dello stabilimento di produzione deve trasportare migliaia di molecole biologiche di diversa origine, derivanti da sorgenti locali o provenienti da lontano. Allo stesso modo i diluenti "inerti" usati per la diluizione devono avere il proprio set di contaminanti. Il processo di diluizione/potenziamento prevede una diluizione scalare con "succussioni" dopo ogni diluizione. La succussione prevede di shakerare il contenitore in un preciso modo. Durante il processo di diluizione passo-passo, come fa il preparato a sapere quale delle innumerevoli sostanze nel contenitore è quella che merita la sua attenzione? Come fanno migliaia, milioni di altri composti chimici a sapere che è loro richiesto di stare buoni, mentre l’unica sostanza attiva assurge allo stato di Guaritrice ? Che questo scenario possa portare a differenti prodotti fatti apposta per curare particolari malesseri è oltre l’implausibile.
E se invece la sostanza che viene attivata è quella presente all’inizio in alte dosi, come mai il procedimento funzionerebbe anche per le sostanze insolubili in acqua o alcool che inizialmente sono diluite per rimescolamento con lattosio in polvere fino alla 3 CH ? Esiste dunque anche una memoria del lattosio?
Pensiamo che oggi, nella Materia Medica, sono oltre 1500 i "rimedi" sperimentati, fra cui minerali, estratti vegetali e animali e anche prodotti chimici. Abbiamo "Mustela foetida" (estratto di ghiandola anale di puzzola), "Periplaneta americana (scarafaggio americano), "Pediculus capitis" (pidocchio dei capelli), "Pulex felis" (pulce di gatto). Resta la curiosità del profano di sapere come viene determinata la patogenesi del "Pediculus capitis".
Esperimenti condotti anche da omeopati (Wenelhoest, Seidliz, Hoff, Donner, Pirtiken, Campbell) dimostrarono che anche pastiglie inerti (placebo) generavano centinaia di sintomi (Stefano Cogliano: “Guarire dall’omeopatia” Marsilio 1997).

(6) La guarigione

Hahnemann ci spiega nel par. 45 del suo Organon il meccanismo della guarigione
(premetto che ci ha già spiegato che il simillimum, immensamente diluito e per questo potentissimo, ha procurato nel malato una malattia artficiale simile in tutto e per tutto alla sua naturale, creando dunque una situazione di conflitto):
" No, due malattie artificiali o naturali che differiscano per qualità, ma che siano molto simili nelle manifestazioni esteriori e negli effetti, come nelle sofferenze e nei sintomi determinati da ciascuna di esse, si annullano sempre non appena si incontrano nello stesso organismo. Per una ragione che non è difficile capire, la malattia più forte distrugge la più debole. In effetti, in questi casi, l’agente patogeno più forte, avendo
un’azione simile, invade di preferenza proprio quelle parti dell’organismo che fino a quel momento erano state sotto l’influsso dell’agente patogeno più debole, lo <assorbe> e quest’ultimo allora diminuisce fino a sparire completamente.
In altri termini, dal momento in cui il malato, per mezzo del sistema nervoso, viene ad essere sfidato da una nuova potenza morbosa, simile alla prima ma più forte di essa, il principio vitale, data la sua unità biologica, subisce soltanto la potenza simile del più forte. La potenza morbosa insorta per prima, cioè quella più debole - che in effetti non è mai percepibile dai sensi, ma costituisce un’affezione dinamica (immateriale) - si spegne e di conseguenza cessa di esistere. Il principio vitale resta dunque colpito solo in modo transitorio, dalla nuova potenza morbosa - simile ma più forte - del medicamento o della malattia simile che svolge così un ruolo "terapeutico".
Analogamente, sotto l’azione più forte dei raggi del sole, che colpiscono i nostri nervi ottici, la percezione luminosa di una fiamma si cancella rapidamente."
Come si può vedere, siamo di fronte a un testo interessante dal punto di vista storico e antropologico, ma dal punto di vista scientifico non c’è niente di accettabile, neanche per quei tempi: sono solo illazioni che non hanno alcun fondamento né, come vedremo meglio, alcuna conferma sperimentale.
Aggiungo una importante precisazione: ma cosa guarisce l’omeopatia ? Il dr. Horviller, nella sua opera "101 consigli per curarsi con l’omeopatia", sostiene che " l’omeopatia guarisce ogni sorta di malattia, a condizione che non sia di natura traumatica o mentale, e che non si tratti di patologia grave."
Questo non solo stride nei confronti della teoria, che prevede che si possa curare tutto il corredo sintomatologico, senza gradazioni di gravità, ma rende l’omeopatia la cura per le persone in buona salute. Ma per questi "malati" funziona benissimo il placebo, che ha, secondo recenti studi, un risultato positivo nel 20-80 % dei casi.
È conseguenza evidente che in studi seri, condotti secondo le regole della sperimentazione clinica, come vedremo dopo, il rimedio omeopatico, per le singole patologie, non mostra alcuna superiorità rispetto al placebo.

(7) La ricerca scientifica

Nel 1990 un articolo (Hill C, Doyon F. “Review of randomized trials of omeopathy.” Rev Epidemiol Sante Publique 1990 ; 38 (2): 39-47) ha analizzato 40 prove randomizzate che hanno comparato trattamenti omeopatici con cure standard, placebo, o nessun trattamento. Gli autori hanno concluso che tutte le prove meno tre avevano grossi difetti nel disegno sperimentale, e che solo una delle tre giudicate corrette aveva riportato risultati positivi. Le conclusioni degli autori furono che non esistono evidenze sperimentali per sostenere che i trattamenti omeopatici abbiano valore terapeutico diverso dal placebo.

Nel 1994 la rivista Pediatrics (Jacob J et al. “Treatment of childhood diarrhea with omeopathic medicine: a randomized clinical trial in Nicaragua”. Pedriatics 1994 May ; 93 (5): 719-725) ha pubblicato un articolo in cui si affermava che i trattamenti omeopatici si erano dimostrati efficaci in casi di diarrea moderata fra i bambini del Nicaragua. L’affermazione era basata su osservazioni per le quali, in certi giorni, il gruppo trattato aveva meno scariche diarroiche rispetto al gruppo trattato con placebo.

Però Sampson W e London W (“Analysis of omeophatic tratment of childhood diarrhea”, Pedriatics 1995 Nov ; 96 (5 pt): 961-4) hanno osservato che:
  1. lo studio aveva usato uno schema fallace e indimostrato
  2. non esistevano garanzie contro l’adulterazione dei prodotti usati
  3. che la selezione del trattamento avveniva su base arbitraria
  4. che i dati erano raggruppati in maniera strana e contenevano errori e incongruenze
  5. che i risultati avevano un risultato clinico discitibile
  6. che la scoperta era priva di importanza per il sistema sanitario pubblico, dal momento che il solo rimedio di cui ha bisogno un bambino con diarrea moderata è una adeguata ingestione di liquidi per prevenire o correggere la disidratazione.
Nel dicembre 1996 (Homeopathic Medicine Research Group. Report. Commission of the European Community, December 1996) un rapporto particolareggiato è stato pubblicato dal Homeopatic Medicine Research Group, una giuria di esperti convocata dalla Comunità Europea.
L’HMRG includeva medici ricercatori omeopatici ed esperti in ricerche cliniche, farmacologia clinica, statistica ed epidemiologia clinica. Lo scopo era di valutare rapporti pubblicati e non pubblicati di prove controllate di trattamenti omeopatici. Dopo aver esaminato 184 rapporti, la giuria ha concluso che:
  1. solo 17 casi erano stati progettati e riportati bene a sufficienza da meritare di essere considerati
  2. in alcune di queste prove gli approcci omeopatici potevano avere esercitato un effetto maggiore di un placebo o di nessun trattamento
  3. che il numero di partecipanti a queste 17 prove era troppo piccolo per poter trarre qualsiasi conclusione circa l’efficacia del trattamento omeopatico per ogni specifica condizione.
Semplicemente: la maggioranza delle ricerche omeopatiche è di nessun valore, e nessun prodotto omeopatico si è dimostrato efficace per alcun scopo terapeutico. Il Consiglio Nazionale contro le frodi sulla salute ha avvisato che " la natura settaria dell’omeopatia solleva seri quesiti circa la fidatezza dei ricercatori omeopatici (NCAHF Positio Paper on Omeopathy. Loma Linda CA: National Council Against Health Fraud, 1994)

Il 20 settembre 1997 (Linde K et al, “Are the clinical effects of omeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials”, Lancet 1997 Sept 20 ; 350 (9081): 834-43) viene pubblicata una meta-analisi su 89 studi clinici nei quali l’effetto di trattamenti omeopatici è stato confrontato con quello di un placebo. La conclusione degli autori dello studio è che esiste una differenza statisticamente significativa a favore del trattamento omeopatico. Ma leggiamo la frase iniziale del paragrafo Discussion:
"I risultati della nostra meta-analisi non sono compatibili con l’ipotesi che gli effetti clinici dell’omeopatia siano completamente dovuti all’effetto placebo. Ma vi è insufficiente evidenza da questi studi che ognuno dei singoli tipi di trattamento omeopatico sia chiaramente efficace in ogni singola condizione clinica".
La critica principale è che una meta-analisi, cioè la valutazione statistica complessiva dei risultati di una serie di esperimenti clinici, ha senso solo se gli esperimenti sono omogenei, cioè riguardano l’efficacia di un determinato farmaco nel trattamento di una determinata patologia. Non ha alcun senso fare la media tra risultati ottenuti con 50 diversi prodotti provati su una settantina di diverse malattie distribuite in 24 categorie cliniche. Vuol dire infatti paragonare i risultati ottenuti con il prodotto A, che sembra avere una qualche efficacia sulla febbre da fieno, con quelli del farmaco B, che non dimostra alcuna efficacia sui dolori del parto, e concludere che statisticamente i due prodotti producono un certo effetto clinico.
Ma la seconda parte della frase citata afferma, anche se fumosamente, che non è stata dimostrata l’efficacia clinica di qualsiasi trattamento omeopatico su qualsiasi singola condizione clinica (questa frase deve essere costata molto al principale autore dello studio, il dr.Jonas, casualmente direttore dell'Office of Alternativa Medicine del National Institute of Health).
Se si tiene conto del fatto che questa affermazione è basata sull’esame di tutti gli studi clinici pubblicati, in gran parte organizzati da medici omeopati e dichiaratamente eseguiti per validare la teoria omeopatica, e che si tratta in parecchi casi di studi condotti con discreto rigore su un rilevante numero di pazienti, non si può sfuggire alla conclusione che nessun rimedio omeopatico finora studiato è utilizzabile come farmaco.
Per spiegare l’apparente contraddizione tra i risultati che indicano in diversi casi una differenza statistica tra placebo e trattamento omeopatico, e negli stessi casi l’assenza di efficacia clinica, è necessario analizzare i singoli lavori per constatare che la ragione dell’apparente contraddizione sta nel fatto che anche nei casi in cui l’analisi statistica dava delle differenze ritenute significative, queste erano poco importanti dal punto di vista terapeutico, perché relative ad aspetti marginali oppure riscontrate in una piccola percentuale dei pazienti.

In uno studio valutato nella meta-analisi come uno dei più rigorosi e favorevoli all’omeopatia, il dr Reilly di Glasgow (Reilly D, Taylor MA et al, “Is evidence for omeopathy reproducible?”, Lancet 1994 dec 10 ; 344 (8937): 1601-6) ha paragonato l’effetto di un allergene diluito1:99 per trenta volte (diluizione finale circa 1:1060) con quello del placebo su 28 soggetti sofferenti di asma allergico. Tra i vari parametri presi in considerazione, la valutazione soggettiva del proprio benessere risultava in media favorevole al trattamento omeopatico, e la differenza era statisticamente significativa. Solo in uno di tre parametri misurati quantitativamente riguardanti la capacità respiratoria, la differenza tra pazienti trattati e controllo era statisticamente significativa. Nessuna differenza rilevante negli altri parametri valutati.

La trionfalistica conclusione del dr. Reilly è stata duramente contestata dal dr. Rothwell di Edimburgo (Rothwell PM, “Is the evidence for omeopathy reproducible?”, Lancet 1995 Jan 28 ; 345 (8944): 251) che ha messo in rilievo diverse debolezze dell’esperimento, come il piccolo numero di pazienti, diversi dei quali non hanno completato i test, e il fatto che solo due parametri su undici misurati avessero dato differenze significative. Ma più importante è l’osservazione che se si esaminano, invece che le medie, i dati dei singoli pazienti, la maggior differenza riscontrata, cioè l’autovalutazione del benessere, era essenzialmente dovuta ad un peggioramento delle condizioni di quattro pazienti trattati con placebo e ad un sensibile miglioramento di un singolo soggetto trattato. In pratica questo trattamento omeopatico aveva dimostrato di migliorare chiaramente questo parametro in un solo paziente su 12 trattati. È evidente che non può essere giudicato clinicamente efficace.

Altro esempio: Ferley e coll. (Ferley JP, Zmirou D et al, Br J Clin Pharmacol 1989 Mar ; 27 (3): 329-35) hanno studiato l’effetto di un farmaco omeopatico in commercio sui sintomi dell’influenza, in confronto con placebo. Il parametro determinato era la durata della malattia, misurata in giorni di febbre. Gli autori concludono che il trattamento omeopatico era superiore al placebo in quanto dopo 48 ore 39 pazienti (su quasi 500) erano senza febbre nel gruppo dei trattati, contro 24 del gruppo del placebo. La differenza è al limite della significatività statistica, ma se si considera che in pratica su 237 pazienti a cui era stato somministrato il trattamento omeopatico solo 15 in più rispetto ai controlli erano guariti, non si può giudicare il dato entusiasmante. La scarsa o nulla efficacia del trattamento è ancora più evidente se si considera la frequenza di guarigione nei giorni successivi. Al quarto giorno circa il 50% dei pazienti trattati omeopaticamente sia di quelli che avevano ricevuto il placebo erano febbrili, e quasi esattamente lo stesso numero di trattati e di controlli (il 25%) lo era ancora al sesto giorno.

Un altro aspetto rilevante è quello della riproducibilità dei risultati. Un farmaco può essere ritenuto valido solo se dimostra una certa costanza nei risultati . Dall’esame dei lavori pubblicati appare esattamente il contrario. Per esempio 4 studi avevano dato risultati variabili ma tendenzialmente favorevoli al trattamento omeopatico del decorso degli interventi all’ileo. Una commissione mista di medici omeopatici e convenzionali ha organizzato, su commissione del Ministro degli Affari Sociali francese, un lavoro molto rigoroso su trecento pazienti. Il risultato (Mayaux MJ, Guilhard-Moscato ML et al, “Controlled clinical trials of omeopathy in postoperative ileus”, Lancet 1988 Mar 5 ; 1 (8584): 528-9) dimostrò chiaramente che non vi era nessuna differenza fra placebo e trattamento omeopatico.

Un’altra considerazione è che un nuovo farmaco, per essere accettato nella pratica clinica, deve dimostrare non solo di essere diverso dal placebo, ma di essere almeno equivalente, in termini di efficacia e tollerabilità, ai farmaci già in uso. Nella meta-analisi è citato un solo caso di confronto con placebo e farmaco in uso convenzionalmente: esperimento clinico rigoroso sui dolori dell’osteoartrite confrontando l'effetto di Rhus tox 6X con quello del placebo e quello di in noto farmaco, il Fenoprofen (Shipley M, Berry H et al, “controlledtrial of homeopathic treatment of osteoartrithis”, Lancet 1983 Jan 15 ; 1 (8316): 97-8.). Nessuna differenza è stata riscontrata tra placebo e trattamento omeopatico, mentre il fenoprofen si è dimostrato chiaramente efficace nella riduzione del dolore.

(8) La giustificazione

Contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, non esiste affatto una "scienza ufficiale". Solo nei Paesi dell’Est, ai tempi del loro splendore, esisteva qualcosa del genere, ma sappiamo a cosa questo li ha condotti.
Quando un ricercatore realizza ciò che pensa essere un progresso nel suo settore, propone ad un giornale scientifico internazionale riconosciuto di pubblicare le sue scoperte sotto forma di un articolo. Un comitato di lettura indipendente, formato da scienziati di alto livello, esamina l’articolo, effettua eventualmente un’inchiesta e decide se pubblicare o no. In seguito, e questa è la cosa più importante, tutti i laboratori che lavorano sullo stesso argomento, rifaranno l’esperimento e ne verificheranno la validità. Se la pubblicazione è "un bidone", la carriera del ricercatore è compromessa, altrimenti tutti vorranno utilizzare quei risultati per proseguire o riorientare le proprie ricerche. È così che procede la scienza, a passi successivi e con un serissimo auto-controllo su ognuno. È in base a questo meccanismo che si può esaminare il tentativo di giustificazIone della Omeopatia.
Il primo tentativo risale al 1939 e fu condotto dal medico omeopatico del III Reich Fritz Donner, su incarico di Rudolph Hess, ed interrotto per la guerra: dopo la fine della guerra Donner riprese lo studio di supervisione e concluse: "Non siamo riusciti ad ottenere alcun successo che possa portare credibilità all’omeopatia, malgrado gli sforzi profusi". Naturalmente nessuna rivista omeopatica accettò di pubblicare quel lavoro.
Insomma, non è fondata, non dimostra le sue affermazioni, non funziona: allora perché molta gente va dall’omeopata ? E perché molti medici si dedicano all’omeopatia ?
Qui bisogna entrare in un altro campo, quello sociologico-filosofico.
Paradossalmente, i progressi della medicina scientifica, che hanno modificato i profili statistici di mortalità e morbosità, sono talvolta divenuti fonte di insoddisfazione, sia per il medico che per il paziente. Il medico, quando disponeva di pochi rimedi per curare, trattava il malato come una persona e gli apportava ciò che non è in nessuna farmacopea: il calore umano. Col medico di famiglia, inizialmente, la confidenza creava spesso un legame solido e resistente. Ma oggi anche il medico di famiglia ha perduto questa capacità: le sale d’attesa sempre piene e la tendenza a delegare agli esami di laboratorio e radiologici hanno fatto perdere questo rapporto privilegiato medico-paziente. Gli omeopati invece privilegiano un approccio globale al malato e la presa in carico della sua personalità: questo è indubitabilmente vero, e tutti i medici dovrebbero recuperare questo modo di rivolgersi al sofferente. Bisogna riconoscere che la quotidianità del medico generico non è facile e può essere percepita da lui come un carico insopportabile. Invece la quiete di un ambulatorio con visite per appuntamento,
l’assenza di rischi e di chiamate d’urgenza (nei casi gravi si va all’ospedale o dallo specialista) possono spiegarci perché un laureato in medicina ricorra a questa scelta. Ma questa scelta è resa possibile dal fatto che la sua formazione universitaria non lo ha incoraggiato ad usare e sviluppare un sano spirito critico. Una riforma radicale degli studi medici dovrebbe introdurre una maggiore sensibilità al metodo scientifico, così da poter avere una percezione più critica delle diverse illusioni mediche.
Ma esistono dei tentativi di spiegazione più propriamente filosofici ed intendo riferirmi ad alcune considerazioni del prof. Lecourt dell’Università Diderot di Parigi. Secondo il suo punto di vista tutte le pseudoscienze, ivi compresa la omeopatia, hanno una certa accoglienza popolare in quanto fanno rientrare il CASO nella FATALITA', con la possibilità di negoziare il proprio destino, perché noi e la natura siamo un tutt’uno. Spinoza diceva che "se gli uomini avessero il potere di organizzare la propria vita secondo i propri desideri o se il caso fose a loro sempre favorevole, non sarebbero mai preda della superstizione". Poter indirizzare la propria vita e quindi regolarne la casualità è un desiderio che attiene alla natura umana, e la fusione uomo-natura ne rappresenta la chiave.
Nell’antichità pagana e greca l’uomo è definito dal ruolo che gli è assegnato in un gioco dove tutti sono indissolubilmente implicati. Con l’avvento del Cristianesimo si fa strada la concezione opposta: ogni uomo è un essere individuale, separato dagli altri e staccato da un Dio creatore ed esterno al mondo. Tutte le pseudo scienze e le altre credenze non hanno niente a che vedere con la scienza, ovviamente, ma esprimono la ribellione dell’uomo che, con le sue passioni, deborda sempre dagli stretti limiti della individualità.
Ciò che Max Weber chiamava il "Disincanto del Mondo" non è altro che la sottomissione alla Ragione e la perdita di un rapporto magico fra gli esseri umani e la natura. Ma l’individualismo, che concepisce la società come composta di atomi sociali, non ha mai completamente trionfato, ha addirittura progressivamente diminuito la sua potenza.
I cittadini ammirano la potenza della tecnologia, ma riconoscono nella scienza la responsabile del sistema oppressivo costituito dalla scuola, la sicurezza sociale, la banca, la farmacia , etc etc... La riduzione del pensiero umano al materialismo neuronale scontenta l’uomo che è dunque attirato da procedure che presentano la stessa apparenza delle scienze, ma sottendono un’altra concezione dell’uomo. Fuggono così dalla " Razionalizzazione integrale dell’esistenza " (Max Weber).
L’irrazionalismo delle teorie pseudoscientifiche è però molto pericoloso e non si combatte opponendo ai loro adepti una "verità assoluta", ma dimostrando come non sia legittimo far passare come scientifica la loro visione del mondo, che consiste nel permettere all’uomo di scoprire in sè quel che appartiene ad altri uomini e di esprimere la potenza della propria immaginazione.
La questione diventa politica: la società deve essere in grado di governare le proprie parti irrazionali, ed il pensiero scientifico, liberandosi dalla stretta morsa positivistica, dovrà tentare quindi di spiegare il gioco delle passioni che sta dietro ogni pseudoscienza.

(9) Conclusione

Non credo che per essere bravi medici si debba somministrare una cura non valida al paziente. Tutto ciò che fa di un medico un bravo medico può essere contenuto in una persona che esercita la sua professione con umiltà, serietà e rispetto del paziente, dedicando tempo ad ascoltare e al colloquio, senza trascurare farmaci più "morbidi" ma efficaci, ed evitando di ricorrere a farmaci aggressivi quando non ve ne sia la necessità. Tuttavia ricorrendo soltanto a ciò che la scienza ha dimostrato secondo i canoni accettati dalla comunità scientifica, che si basa su principi consolidati in centinaia di anni di studi e di riflessioni serie, senza invocare niente di metafisico e senza pretese di "verità assolute".
La possibilità di dimostrare verità assolute è stata cancellata dalla legge di Duhem-Quine (la conoscenza di sfondo impedisce di individuare con assoluta certezza ciò che ha reso possibile l’esperimento) e dal principio di indeterminazione di Heisemberg (l’osservatore inquina sempre e comunque l’esperimento con le sue misurazioni), e quindi ancor più dobbiamo riferirci all’autorità della comunità scientifica, che non ci somministrerà verità certe ma un metodo e delle regole.
È certo che non si deve trascurare il nuovo e l’ignoto, ed è altrettanto certo che non dobbiamo ignorare le istanze che provengono dal nutrito gruppo dei fedelissimi dell’alternativo, e tenere in alta considerazione questo bisogno di recuperare un soddisfacente rapporto medico-paziente, non più ridotto ad un semplice e freddo scambio di dati. Non è facile, ma la via è quella. Bisogna però stare molto attenti a non servirsi della scorciatoia di costruzioni teoriche che non presentano la minima credibilità né dignità.
L’Omeopatia rappresenta un’inutile via di mezzo fra il materialismo e lo spiritualismo, senza possibilità alcuna di rappresentare un vero progresso.

Freud: “La scienza non è un’illusione. Sarebbe invece un’illusione credere di poter ottenere da altre fonti ciò che essa non è in grado di darci”.

Stefano Miniati