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Giampaolo Azzoni
I passanti


Prima lezione del ciclo "Fenomenologia del quotidiano" - Pavia, Collegio Borromeo, 18 gennaio 1999



( Per i pigri lettori ho rozzamente tradotto qualche frase dal francese, inserendola tra /* ... */ SB )
"/* Siamo nelle mani del passante, alla sua mercè */ Nous sommes dans les mains du passant, à sa merci."
Georges Bernanos, Les Enfants humiliés. Journal 1939-1940, 1949; 21971, p. 879.

Indice:


1. Una costellazione di quattro concetti.
1.1. Il quotidiano
1.2. Il passante / i passanti.
1.3. Il comune.
1.4. L’indistruttibile.
2. Due letture filosofiche per una ontologia del passante.
2.1. Martin Heidegger, Sein und Zeit. Tübingen, Max Niemeyer, 1927.
2.2. Karl Marx, Zur Judenfrage, 1844.
2.2.1. Luca 10, 30-37
2.2.2. Paul Ricoeur.
3. Due ipotesi sul passante.
3.1. La forma logica del passante.
3.2. L’affidarsi come essenzialità del passante.
4. La volontà di essere chiunque.
4.0. Prima Lettera ai Corinti (1: 26-28).
4.1 Lo pseudonimo.
4.2 L’anonimato.
4.3 Il nome collettivo.
4.4 Il nome multiplo.
4.5 Il profetismo.


1. Una costellazione di quattro concetti.

1.1. Il quotidiano


Nicolas Malebranche: "/* Non c'è che il niente di disprezzabile, poiche ogni realtà merita di essere stimata */ Il n’y a que le néant de méprisable, car toute réalité mérite de l’estime" (cfr. Enrico Castelli, Existentialisme théologique, 1948, p. 14).

Maurice Blanchot: "/* Quali che siano i suoi aspetti, il quotidiano ha questo tratto essenziale: non si lascia afferrare. Sfugge */ Quels que soient ses aspects, le quotidien a ce trait essentiel: il ne se laisse pas saisir. Il échappe" (L’entretien infini, 1969, p. 357; tr. it. p. 328).

Quotidiano vs. effimero: "/* Il quotidiano è la nostra parte di eternità */ Le quotidien est notre part d’éternité" (Maurice Blanchot, L’entretien infini, 1969, p. 366; tr. it. p. 331).

Marcel Mauss, I fondamenti di una antropologia storica, p. 173 (La coesione sociale nelle società polisegmentarie, 1932): "Andrebbe restaurato uno studio come questo che è stato classico tra i giuristi, circa sessant’anni fa: è la cosa che esprime la nozione di pace".

Gerhart Husserl (Recht und Zeit, 1955, tr. it. p. 67): "partiamo dalle situazioni tipiche in cui l’uomo incontra il diritto nell’ambito della sua esperienza naturale. Non si tratta di casi di soluzione di conflitti con i mezzi della disputa giuridica, e nemmeno di casi di risarcimento di un torto mediante l’impiego di strumenti di potere statali. È nel suo rapporto pacifico con gli altri, che l’uomo incontra gli stati di fatto giuridici come elementi della complessa realtà sociale che lo circonda".

1.2. Il passante / i passanti.


Duane Hanson (1925-1996): scolpire i passanti e mostrare il paradosso della quotidianità.
Hanson, forse più di ogni altro artista, ha fatto dei passanti l’oggetto delle sue opere. Infatti, grazie all’uso di particolari tecniche e materiali, ci ha lasciato una ricca galleria di passanti (anonime presenze in supermercati, fermate dei bus e altri luoghi pubblici) in nulla distinguibili dal modello. Ma le sculture di Hanson sono anche (e qui sta la paradossalità del quotidiano), in quanto oggetti su cui sosta selettivamente lo sguardo, esemplari unici, non comuni, ma eccezionali.
Aristotele: "tuchòn anér", il primo che s’incontra (cfr. Luigi Lombardi Vallauri, Amicizia, carità, diritto, 1974, p. 21).
Passante è colui che si incontra fuori di casa, che si dà senza qualità, senza volto (cfr. la "civil inattention" in Erving Goffman), ma con l’unica determinazione dell’essere umano.
Passante è colui che non si differenzia dagli altri uomini (non è un passante né l’amico, né il poliziotto in divisa), ma si differenzia da tutto ciò che non è umano.
Io non posso percepirmi mai come "passante": sono "passante" solo quando come tale vengo percepito dall’altro (nella modalità propria della percezione del passante: la non-selettività).
Il passante viene dissolto dal dialogo, dal linguaggio (ad eccezione dell’enunciazione formulare / performativa).
Identificare il passante come punto di partenza di una fenomenologia del quotidiano implica una prospettiva antitetica a quella dell’autentico: passante è un concetto-muro che si frappone ad ogni sguardo teso all’autentico: è l’off-limits per ogni "anima bella".
I passanti sono un luogo primario di costituzione della soggettività sociale il cui spazio etico non è ai livelli minimi dell’eticità (la famiglia, il gruppo professionale, ...), ma ai livelli superiori dell’universalità.

1.3. Il comune.


Il passante è la esemplificazione paradigmatica del comune: il passante è l’uomo comune; il passante non solo è incontrato, ma è costituito nel luogo comune.
Il concetto di "comune" è centrale nella filosofia del diritto di Giuseppe Capograssi. Ciò che mi sembrava debole nell’approccio di Capograssi era la relativa aproblematicità con cui egli presentava i concetti di "uomo comune", "coscienza comune" ed "esperienza comune" (nonostante che egli si richiamasse, tra i primi in Italia, alla riflessione fenomenologica).
Oggi mi sembra che quello di Capograssi più che un limite, sia il segno del luogo in cui l’opera di Capograssi s’è voluta produrre: Capograssi anche da filosofo si situava nel comune, tra i passanti (e non esteticamente/bohêmianamente fuori di essi, come il flâneur del Baudelaire di Walter Benjamin). In ciò, Capograssi è vicino a Georges Bernanos che, non solo metaforicamente, amava scrivere tra i passanti e nei luoghi comuni, o, più in generale, a quegli autori che si collocano su quella linea stilistica che si potrebbe chiamare di "cattolicesimo radicale" (cioè di santificazione del reale in quanto creato/ricreato) e che ha nel teatro di Giovanni Testori una delle espressioni più compiute.
Georges Dumézil (Gli dèi dei germani, 21959; tr. it. pp. 73 ss.) mostra la connessione tra il comune e il diritto attraverso l’etimologia di ‘comune’.
Dumézil riconduce l’etimologia di ‘comune’ al dio Mitra: la radice di Mitra significa "scambiare regolarmente, pacificamente, amichevolmente (quella del latino munus, communis, come quella dell’ant.-slavo mêna "scambio" e miru "pace, ordine")" e "non ha altro significato che "contratto"". Attraverso Mitra, "è divinizzato un tipo di atto giuridico insieme con gli effetti che produce, lo stato d’animo e di fatto che instaura tra gli uomini". Secondo Dumézil, Mitra è il "dio sovrano giurista" (p. 75)
Mitra si contrappone a Varuna. Mitra e Varuna occupano "il primo livello della sovranità" determinando una "bipartizione della sovranità"; ma sono dèi "antitetici".
Ecco alcune delle contrapposizioni analizzate da Dumézil: Varuna vs. Mitra; l’altro mondo vs. questo mondo; il cielo vs. la terra; i nobili vs. la massa. Mitra è, dunque, il dio sovrano giurista vicino a questo mondo, alla terra, e alla massa.
Significativamente Mitra è anche il dio della fiducia.

1.4. L’indistruttibile.


Il comune può essere pensato come ciò che concatena.
Questo è il senso che Giorgio Colli attribuisce al più antico termine greco per ‘comune’: ‘xunós’.
Colli traduce, infatti, ‘xunós’ con "ciò che si concatena".
La scelta di Colli mi sembra felice se il comune è riferito alla comunità degli uomini: il comune è ciò che concatena gli uomini in una comunità: il comune come ciò che produce l’indissolubile coesione degli uomini e, quindi, l’indistruttibilità del genere e dell’individuo.
Tale tema nei postumi Otto quaderni in ottavo di Franz Kafka: "L’indistruttibile è uno; ciascun uomo lo è, e al contempo esso è a tutti comune. Di qui la coesione fra gli uomini, la cui indissolubilità non conosce eguali"; "Das Unzerstörbare ist eines; jeder einzelne Mensch ist es und gleichzeitig ist es allen gemeinsam, daher die beispiellos untrennbare Verbindung der Menschen".
Mi sembra interessante che Kafka riconduca l’indissolubile coesione tra gli uomini [untrennbare Verbindung der Menschen] ad un "indistruttibile" [das Unzerstörbare] di cui gli uomini sono partecipi come individui e come genere.

2. Due letture filosofiche per una ontologia del passante.

2.1. Martin Heidegger, Sein und Zeit. Tübingen, Max Niemeyer, 1927. §§ 27 e 37


Martin Heidegger ha avuto il grande merito di avere tematizzato il sociale attraverso l’analisi del "Man".
"Das Man" è il ‘Si’ impersonale, "il "soggetto realissimo" della quotidianità" ["das "realste Subjekt" der Alltäglichkeit"] , il "Chi della quotidianità dell’essere-assieme" ["Wer der Alltäglichkeit des Miteinanderseins"], la cui "caratteristica esistenziale" è "la medietà" ["Durchschnittlichkeit"] .
L’ingresso del "Man" ha permesso il superamento di due impasses della filosofia sociale: Attraverso la tematizzazione del "Man" è possibile pensare il passante come luogo della costituzione del sociale.
È necessario però separare l’ontologia del "Man" dalla assiologia heideggeriana che lo connota negativamente come livellamento ["Einebnung"] , pubblicità ["Öffentlichkeit"] , chiacchiera ["Gerede"] , curiosità ["Neugier"] ed equivoco ["Zweideutigkeit"]. Tale assiologia è tributaria di un’ideologia della autenticità, dell’originarietà e della purezza, e, quindi, ultimamente riproduce quella "critica moralizzante dell’Esserci quotidiano" che lo stesso Heidegger voleva evitare.
Forse l’unico tratto del "Man" da conservare in una ontologia del passante è quello della "non-sorpresa" [Unauffälligkeit]: il "Man" come "ciò che si incontra ogni giorno [...] caratterizzato dalla non-sorpresa" [Sein und Zeit, 1927, p. 252; tr. it. p. 308; e cfr. § 16]
Si può iniziare a pensare in modo adeguato la relazione con il passante se essa è pensata come relazione con il "Man".
La stessa fiducia sociale (quella non modellata sul volto o la griffe, ma sulla mano) è fiducia verso il "Man": un altro in cui l’io è nella stessa misura dell’altro.
Pensare il passante come "Man", significa considerare che etimologicamente ‘Man’ è una mera variante, un allotropo, di ‘Mann’, "uomo" (esattamente come in francese ‘on’ è una mera variante, un allotropo, di ‘homme’).
In questo senso il "Man" diviene pre-condizione della stessa soggettività individuale. Questa era la prospettiva di Enrico Castelli (Existentialisme théologique, 1948, pp. 15-16): "/* Il si generico è un mondo nel quale noi viviamo, nel seno del quale noi ci muoviamo. Per intenderci dobbiamo abbandonare nomi e cognomi ed assumerne altri, molti altri nomi che sono delle figure, e in un certo senso delle maschere. [...] Perdersi, in definitiva, non è altro che non vedere, non sapere che il si (le "man") è una condizione sine qua non dell' "è così", senza la quale l'individuo non può acquisire nome e cognome */ Le si générique (le on) est un monde dans lequel nous vivons, au sein duquel nous nous mouvons. Pour l’entendre, il nous faut abandonner prénoms et nom de famille, assumer d’autres, beaucoup d’autres noms qui sont des figures, et en un certain sens des masques. [...] Se perdre, en définitive, n’est autre chose que ne pas voir, ne pas savoir que le "on" (le si, le man), est une condition sine qua non du "c’est ainsi", sans lequel l’individu ne peut acquérir nom et prénom".

2.2. Karl Marx, Zur Judenfrage, 1844.


Oltre al "Man" heideggeriano, un secondo concetto importante per ricostruire una ontologia del passante è quello di "Gattung", genere; un concetto che il giovanissimo Marx riprende da Ludwig Feuerbach.
In Marx ‘Gattung’ ricorre in cinque espressioni:
L’uomo generico si contrappone all’uomo privato.
L’uomo generico è un "Gemeinwesen", un essere comune.
Il concetto di Gemeinwesen è centrale nell’interpretazione che di Marx ha dato Jacques Camatte. Camatte ha proposto il concetto di "Homo Gemeinwesen".
Per Marx nello Stato democratico, "l’uomo si comporta come ente generico in comunità con altri uomini".
La prospettiva dell’emancipazione umana è quello secondo cui "l’uomo reale, individuale, riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali" diviene "ente generico".
In una ontologia del passante, il passante è un "ente generico".

2.2.1. Luca 10, 30-37


Come scrisse Marx in Zur Judenfrage, "la democrazia politica è cristiana perché in essa l’uomo, non soltanto un uomo, ma ogni uomo [jeder Mensch], vale come essere sovrano, come essere supremo".
Il luogo classico in cui il semplicemente uomo è presentato nei Vangeli è nella parabola del buon Samaritano: dove l’uomo senza aggettivi, anthropos, homo quidam, è contrapposto al sacerdote, al levita e al samaritano (i quattro soggetti sono posti significativamente all’inizio di un versetto).
Il mio vicino è, nella prospettiva di Luca, l'uomo qualsiasi, l’uomo generico: colui che si incontra sulla strada, il passante.

2.2.2. Paul Ricoeur.


Troviamo in Paul Ricoeur la connessione tra il "ciascuno" e la dimensione istituzionale che era asserita da Marx.
Ricouer (Approches de la personne, 1990) caratterizza efficacemente il "ciascuno" come l’altro "senza volto" (l’autre sans visage; chacun sans visage).
Paul Ricoeur arriva al "ciascuno" attraverso le istituzioni: "En introduisant le concept d’institution, j’introduis une relation à l’autre qui ne se laisse pas reconstruire sur le modèle de l’amitié".
Ma le istituzioni non sono solo il luogo in cui il "ciascuno" è epistemologicamente scoperto, bensì anche quello in cui esso è esistenzialmente incontrato: "Le chacun est une personne distincte, mais je ne le rejoins que par les caneaux de l’institution".
Il ciascuno è l’altro che si dà nelle relazioni istituzionali, nelle "relations institutionnelles" (che Ricoeur contrappone alle relazioni interpersonali, "relations interpersonnelles").
Qui Ricoeur si contrappone ad Aristotele secondo cui "l’amicizia e la giustizia hanno i medesimi oggetti e risiedono nelle medesime persone" (Etica Nicomachea, VIII, 9, 1159b 25-26).

3. Due ipotesi sul passante.

3.1. La forma logica del passante.


Heidegger aveva denunciato il fatto che la logica tradizionale non riuscisse a cogliere il "Man" perché essa non presuppone "altra possibilità di comprensione ontologica che quella di interpretare in termini di specie e di genere tutto ciò che non è semplice individuo" (Sein und Zeit, 1927, p. 128; tr. it. p. 165).
Penso che una prima risposta alla critica di Heidegger possa trovarsi nell’analisi del sillogismo dell’analogia effettuata da Georg Wilhelm Friedrich Hegel in Wissenschaft der Logik.
In particolare, credo che la forma logica del "Man" (e, quindi, del passante) possa essere avvicinata alla caratterizzazione hegeliana del medio nel sillogismo dell’analogia. (1)
Secondo Hegel, nel sillogismo dell’analogia, "il medio è posto come individualità, ma immediatamente anche come la sua vera universalità", "è preso come un concreto che secondo la sua verità è tanto una natura universale, ossia un genere ["Gattung"], quanto un individuo".
(Il medio del sillogismo dell’analogia si contrappone al medio del sillogismo dell’induzione, "moltitudine interminabili d’individui", e al medio del sillogismo della totalità, "determinazione formale esteriore della totalità".)
Il passante è "un genere, quanto un individuo".

3.2. L’affidarsi come essenzialità del passante.


La fenomenologia del passante ha come suo momento essenziale l’affidarsi del passante all’altro passante, anzi l’affidarsi può essere pensato come momento genetico del passante: il passante si produce quando si ha l’affidamento dei passanti gli uni verso gli altri.
Non si tratta ovviamente di una fiducia focalizzata (nel volto o nella griffe, nell’amico o nei sistemi esperti), ma di una fiducia "in bianco", una fiducia generica, una fiducia nel genere, una "fiducia indeterminata" (per usare un’espressione di Alessandro Manzoni) o di una "fiducia nella mano" (come io ho chiamato la fiducia non riposta nel volto, ma nel generico essere umano).
La fiducia generica è sempre razionalmente eccessiva (in quanto basata sull’incoercibile libertà dell’altro), ma sempre esistenzialmente necessaria: non è una fiducia cieca, ma è la fiducia di un cieco (il cieco non si atteggia sul volto altrui, ma è condotto per mano) (2)
In questo affidarsi del passante all’altro passante (e nella costituzione conseguente dell’esserci del passante) v’è parte della ricchezza esistenziale che è tipica di ogni rapporto di fiducia.
Come si legge nella Lettera Enciclica Fides et Ratio § 32, "fiducia divitior (3) saepe extat quam simplex evidentia". E al § 33 viene considerato come "uno degli atti antropologicamente più significativi ed espressivi" proprio "l’abbandono fiducioso nelle mani (4) di coloro che possono mettere al sicuro la certezza e l’autenticità della stessa verità".

4. La volontà di essere chiunque.


Enrico Castelli (Pensieri e giornate, 1945, p. 47): "Buona parte del prossimo è anonimo. C’è una doppia anonimicità: quella che risulta dalla conoscenza di una situazione contingente (il vecchio che mi sta davanti in tram) e quella che risulta dalla conoscenza generica che oltre i ricordati vicini prossimi, esistono altri che riempiono della loro presenza le strade che attraversiamo."
Ma oltre al dato di fatto che ognuno di noi è passante appena entra in un luogo comune, vi può essere anche la volontà di essere passante, di divenire passante anche in contesti in cui sarebbe possibile (l’illusione di) un segno individuale.
Sono storicamente documentate personalità dell’impersonale.
Le motivazioni possono essere le più varie, così come il tono, però identica è la tensione verso una enunciazione che possa essere dislocata non presso il soggetto enunciante.
Enrico Castelli (Existentialisme théologique, 1948, p. 15): "/* Cosa significa firmare? Firmare è riconoscere un pensiero, legalizzarlo, legarlo alla propria persona. È connotarlo di un sì e non di un si che non impegna l'individuo che lo pronuncia. */ Que signifie signer? Signer c’est reconnaître une pensée, la légaliser, la lier à sa propre personne. C’est l’affecter d’un si (au sense de Oui), impliquant un "c’est cela", et non d’un si (au sens de on) qui n’engage pas l’individu qui le prononce".

4.0. Prima Lettera ai Corinti (1: 26-28).


Giovanni Testori (Erodiàs): "Il dio di te [...] – figuràs! – un scief, un capo de reietti e calpestati, un dio de morti sotterrati, un dio de tutti i defraudati, un dio dei enne-enne, [...], un dio dei affamati, un dio, insomma, [...] dei ciechi, dei ciavati e mutulati! ".

4.1. Lo pseudonimo.


Ad esempio: Søren Kierkegaard.

4.2. L’anonimato.


Ad esempio: Amadeo Bordiga.

4.3. Il nome collettivo.


Ad esempio: Nicolas Bourbaki.

4.4. Il nome multiplo.


Ad esempio: Luther Blissett.

4.5. Il profetismo.


Ad esempio: Walt Whitman


"ONE'S-SELF I sing, a simple separate person,

Yet utter the word Democratic, the word En-Masse."

"THE commonplace I sing;

[...]

The common day and night- the common earth and waters,

Your farm- your work, trade, occupation,

The democratic wisdom underneath, like solid ground for all."


/*
L'individuo io canto.


L'individuo io canto, una semplice
singola persona, eppur pronuncio la
parola Democrazia, la parola In-
Massa. La fisiologia da capo a
piedi io Canto, né la fisionomia da sola
né il cervello da solo valgono per la
Musa: io dico che la Forma completa vale
di gran lunga di più, la Femmina e
insieme il Maschio io canto. La Vita
immensa in passione, impulso,
potenza, piena di gioia, per le azioni più libere
che si compiono sotto la legge divina, l'Uomo
Moderno io canto.
*/


Giampaolo Azzoni

NOTE



(1) Cfr. Paolo Di Lucia, Sul fondamento dell’analogia, 1997.

(2) Sulla connessione tra i concetti di "cecità" e "democrazia" (e sulla presupposizione, implicata dalla loro connessione, della genericità del soggetto politico) è interessante quanto scrive Friedrich Wilhelm Joseph Schelling. Secondo Schelling la cecità deve essere una caratteristica del modo di operare della costituzione giuridica. Secondo Schelling, System des Transzendentalen Idealismus, 1800 (tr. it. di Guido Boffi, p. 495) la costituzione giuridica deve essere considerata "come una macchina che è regolata preventivamente per taluni casi e che agisce automaticamente, ossia del tutto alla cieca [völlig blindlings], non appena questi abbiano luogo". Secondo Schelling è proprio del dispotismo esercitare il diritto "come una provvidenza che veda l’interno dell’uomo [die in das Innere sieht]".

(3) Inesplicabilmente la traduzione italiana rende il latino ‘fiducia’ con ‘credenza’.

(4) Inesplicabilmente nella traduzione italiana viene omesso il fondamentale riferimento alle mani presente nella versione latina.